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Nkulngui Mefana: scrittore camerunense

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La moglie, sempre più spesso, mi costringe a svuotare i cassetti da quelle che lei chiama le mie “cianfrusaglie”. Così l’altro giorno, passando a uno a uno i fogli da buttare, ho trovato vecchi appunti di quando da giovane lavoravo in Camerun. Su uno di questi c’erano scritte alcune note riguardanti uno scrittore del luogo, conosciuto per caso a Yaoundé. Avevo completamente rimosso dalla memoria quell’incontro, ma ora mi sovviene, seppure molto vagamente: era il 1973.

Nkulngui Mefana (ma mi ero segnato anche il suo vero nome Owino Protais-Aloys) aveva appena pubblicato una raccolta di favole Beti. Il titolo in francese non lo ricordo: l’avevo tradotto con “Il segreto della sorgente” (ho provato inutilmente a cercarlo tra i miei libri). L’aveva pubblicato la casa editrice locale “CLE”, di cui l’autore, mi pare, fosse un consulente o un dipendente. A questo punto, incuriosito, ho verificato su Internet se Mefana sia oggi diventato famoso. La ricerca col suo vero nome non ha dato esiti (ma bisogna pure tener conto che sono poco tecnologico); qualche notizia l’ho, invece, trovata col suo pseudonimo, non molte per la verità (nulla in italiano, qualcosina in francese, esclusivamente legata ad altri autori). Pochi indizi, quindi: la data di nascita 1939 (ma in più io avevo appuntato anche il giorno e il mese: 11 novembre) e quel titolo del libro in francese: “Le secret de la source” (Yaoundé, 1972) a cui pare sia seguito qualche altro volume. Ai nostri studiosi di letteratura camerunense sarà di certo noto, perché già allora (aveva 35 anni) era un attivo critico letterario e tra gli esponenti della cultura del suo paese.

Nel diffondere la letteratura nazionale, un ruolo-chiave l’hanno avuta l’Università di Yaoundé e la rivista “Abbia” (fondata da Bernard Fonlon negli anni Sessanta) e, negli anni Settanta, la rivista “Cameroun littéraire” dell'Associazione dei poeti e scrittori camerunesi, in molti dei quali c’era la convinzione che all'intellettuale fosse affidato un ruolo sociale, di testimone della realtà. Da google apprendo pure che Don Burness ha inserito Mefana nel suo libro “Conversations with African Poets and Writers”, edito nel 1985.

Tuttavia, magari con la segreta speranza di ritrovarlo (sebbene lui di certo non si ricorderà più di me), voglio mettere sul blog i miei appunti.

Nato a Nkolakomo (Oyeng) nel distretto di Mbalmayo nel Central South, Mefana ha frequentato la scuola cattolica locale (Obout) e in seguito nei seminari di Mavas e di Okomo. A quel tempo (1973) aveva pubblicato soltanto “Le secret de la source”, raccolta di favole, in cui ha cercato (in Camerun si parlava prevalentemente Francese e in parte Inglese, poiché il paese era stato colonizzato da queste nazioni) di rendere in lingua francese il profumo del mondo Beti, una popolazione dell’Africa centrale presente in Camerun e in Gabon. Mefana, aveva in cantiere anche una raccolta di poesie (ho ora scoperto che doveva trattarsi de “La coupe de larmes”), un romanzo (che sia “La fin d’un monstre”? ma non ne sono certo) e un testo di saggistica sulla cultura Beti. Sosteneva che la loro cultura tradizionale era prevalentemente orale: quella dei “pigmei”, dei pastori “fulbé” e quella dei “beti”, i cui aedi accompagnavano i loro canti con il “mwet”, uno strumento a corde.

Avevo appreso da lui che i più noti scrittori del posto erano legati proprio all’etnia Beti (Mongo Beti, Ferdinand OyoNo, Guillaume Oyono-Mbia, René Philombe, tutti nomi che ho trovato su Internet) e sosteneva pure che il centrosud aveva dato molta importanza alla scuola e, inoltre, che la loro gente era molto dotata di fantasia. Segnalava altri scrittori più recenti, come Alima, Bernetel, Kayo e altri con una narrativa di grande forza e uno stile limpido, alcuni accettati con fatica dalla critica per le loro denunce contro il colonialismo e la corruzione. Infatti, gli intellettuali della zona - affermava Mefana - stavano prendendo maggiormente coscienza e senso di responsabilità dell’uomo e della società camerunense; come dire che loro, liberatisi del colonialismo, riscoprivano sì le proprie tradizioni a partire da quelle tribali, però nel frattempo stava, formandosi una nuova generazione di scrittori che si interessava soprattutto della vita attuale del paese, sebbene dominasse ancora la cultura francese rispetto all’africana (parlo di quel tempo; ora non so perché sono passati 40 anni dai miei trascorsi in Camerun).

Sarebbe bello, comunque, se riuscissimo a contattarci, anche solo virtualmente, ma su Facebook non appare e ad altri social network io non sono iscritto.

Giuseppe Possa


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