Quantcast
Channel: pqlascintilla
Viewing all articles
Browse latest Browse all 324

QUINTO STATO: MOSTRA ANTOLOGICA DI GIORGIO DA VALEGGIA

$
0
0

Vogogna (VB): dal 1° al 24 maggio 2015

QUINTO STATO: MOSTRA ANTOLOGICA

DI GIORGIO DA VALEGGIA

Promossa dall’Associazione Culturale

Giovan Pietro Vanni di Viganella

per celebrare i settant’anni del pittore ossolano.

La mostra (ingresso libero) merita una visita. Da non perdere.

Inaugurazione sabato 1° maggio alle ore 17

Fabbrica dismessa A. Morino & C. di De Gaudenzi R. sas

– via Nazionale 177 – VOGOGNA

 <<Niente come un antico stabilimento – sostiene il presidente dell’associazione Pier Franco Midali - può simbolicamente tenere insieme una zona, l’Ossola inferiore dalle forti origini industriali, una vita di duro lavoro, quella dell’artista, e il significato di molte sue opere, dedicate al lavoro, alla Valle e agli uomini che hanno caratterizzato questo territorio>>. All’inaugurazione della mostra ci saranno gli interventi di Pier Franco Midali, Laura Savaglio, Giuseppe Possa e del Sindaco di Vogogna On. Enrico Borghi.

Questa importante antologica dedicata a Giorgio da Valeggia presenta un centinaio di opere dell’artista, in un percorso articolato attraverso i suoi cicli pittorici: una affascinante, estrosa e complessa ricerca che ha infiammato, in una stagione irripetibile, la scena artistica ossolana. Un caleidoscopio di dipinti che testimonia la bravura di questo pittore “visionario”, che nei nostri anni inquieti e fecondi, lascerà sicuramente un’impronta profonda.

La mostra è dislocata in uno scenografico allestimento, ambientato all’interno di una fabbrica dismessa di Vogogna (VB), e si apre con una tela di ampie dimensioni, “Quinto Stato”, che fu anche esposto il 12 ottobre 2000 al Museo della Permanente di Milano, in occasione della presentazione del n. 19 della rivista di arte e cultura “ControCorrente”, in cui Giorgio da Valeggia appariva sulla copertina e all’interno con due saggi. Di questo quadro Gianni Pre, direttore della rivista, annotò: <<L’opera ci appare come una parodia del famoso “Quarto Stato” di Pelizza da Volpedo. Nel grande pittore divisionista prende il sopravvento un empito epico, con quella marea di contadini in marcia guidata da un fiero nucleo famigliare; in Giorgio da Valeggia, dove dovrebbe essere la classe operaia ad avanzare verso la conquista della propria emancipazione, ritroviamo invece tre portavoce larvificati, con alle spalle un livido corteo di spermatozoi bollati dal tremendo marchio dell’alienazione. Sono questi gli inariditi e pavidi protagonisti del pianeta fantasma del nostro nuovo millennio?>>.

A seguire, sono poi esposti, in un percorso articolato, affascinante, suggestivo, per certi aspetti sereno per altri inquietante, i lavori del suo “realismo universale esistenzialista” selezionati, tra i più importanti, per ricostruire la sua intera vicenda artistica, che accompagna il visitatore nel suo tormentato processo creativo, in cui si possono ammirare quadri come: “La Zattera 2000”, “Attesa”, “Paternità”, “Sarajevo”, “Il bevitore”, “Mio fratello cosmico”, “Il ritorno degli eroi”, “Sala operatoria”, “I condannati”, “Impiccato in città”, “Diseredati”, alcuni titoli di “Veseva”, una scelta degli “Hometti” e poi paesaggi, ritratti, autoritratti, quadri mistici e lavori più esistenziali o di impatto umano-sociale, appartenenti ai suoi cicli: “Onde del sentire universale”,  Oltre le porte”, “Uomini che non vedono”, “Paletti”, “Tornerò mai bambino”, “Ricerca nell’anima delle cose su cui scorre il tempo” .

Una prismatica ricerca che, in generale, può essere classificata di matrice figurativo-simbolica, con impennate espressioniste, oniriche e metafisiche, che nel suo insieme io definirei “Psicopittura”, con il ciclo degli  Hometti”, secondo me, il più originale ed eloquente di Giorgio. Quadri terrificanti e angoscianti nella loro visione apocalittica, rappresentativi e riassuntivi delle innumerevoli decadenze delle civiltà, sia sotto l’aspetto contenutistico che espressivo. Negli Hometti, creature mostrificate, l’autore ha rappresentato simboliche larve umane, zombi che si presentano come immagini speculari dell’uomo contemporaneo, il quale privato dei valori, dei risultati conseguiti e delle certezze del passato, si trova smarrito e pauroso in una nuova torturata e contraddittoria dimensione sociale. In questi esseri zoo-antropomorfi, che sembrano lo specchio in cui vediamo riflessi i nostri fallimenti e le nostre delusioni, già allora, si potevano riconoscere le contraddizioni, i dubbi, le ribellioni, e crisi dell’uomo moderno e il limite della società capitalista, che oggi è sotto gli occhi di tutti. Questo ciclo fu molto pubblicizzato sulla rivista milanese “Controcorrente” che gli dedicò la copertina e un inserto con saggi del direttore Gianni Pre e miei. La rivista fu presentata al Museo della Permanente e alle spalle di noi relatori era appeso proprio il “Quinto Stato”, il quadro simbolico che ha dato il titolo a questa mostra.

Dunque, Giorgio Sartoretti ha settant’anni, da vent’anni è Giorgio da Valeggia, da cinquanta si dedica alla pittura. Dapprima come autodidatta, poi frequentando i maestri Carlo Bossone e Rino Stringara, fino al raggiungimento di un suo stile personale, che l’ha reso noto anche fuori dell’Ossola. Una “psicopittura” fatta di simboli e segni, con “hometti” che urlano e sperano, cercando di resistere al tempo.  La metamorfosi è avvenuta a metà degli anni Ottanta, quando si è ritirato nell’isolamento della piccola frazione di Montescheno, da cui ha mediato il nome d’arte. Nel 1994, durante la mostra di Valeggia, in cui aveva esposto i suoi quadri tra le baite e i vicoli, conosce Laura, la sua attuale compagna, che lo stimolerà anche a scrivere. Pubblicherà, in seguito, tre libri sulla sua tormentata vicenda umana e artistica: La mia ombra ed io sul cammino di Santiago”, “La barca della Provvidenza” e “Nulla si è compiuto. Sta ora portando a termine un quarto romanzo, Il lungo filo rosso, che sarà dato alle stampe il prossimo anno.

Nato a Caddo di Crevoladossola nel 1945, prende il cognome Sartoretti dalla madre (del padre, un ufficiale tedesco di stanza in Ossola in quel periodo, non si conoscerà mai il nome). Senza scomodare la psicanalisi, di casa in questi frangenti, è certo che tale trauma altera fin dall’inizio i suoi rapporti con gli altri, portandolo in seguito alla continua ricerca di se stesso e della propria identità (forse anche per questo ha voluto prendere, con vezzo rinascimentale, quel nome d’arte). In gioventù ha lavorato come pittore-decoratore. Si sposa giovanissimo e avrà sei figli. E’ stato uno dei fondatori del G.A.O. (Gruppo Artisti Ossolano) ed è iscritto all’Associazione “Quantarte” di Domodossola.

I momenti della sua vita, oltre che nei suoi libri, si possono leggere anche sulla monografia in e-book pubblicata da Mnàmon di Gilberto Salvi (si può scaricare gratuitamente dal blog:

www.pqlascintilla.ilcannocchiale.it/?id_blogdoc=2757504);

sul blog www.pqlascintilla.ilcannocchiale.it ci sono inoltre articoli, letture di quadri e biografia di Giorgio da Valeggia.

Giuseppe Possa




G. Possa, G. da Valeggia,        L. Savaglio



Pubblichiamo di seguito un pezzo critico dell'amico Giorgio Quaglia, apparso sul mensile "Rivista Ossolana" nel novembre 1996, in occasione della mostra “Homettiometti”, tenuta dal 19 al 26 dicembre a Masera (VB). Al di là della notevole evoluzione artistica di Giorgio da Valeggia, registratasi nel ventennio successivo (che lo ha portato fra l'altro a cimentarsi nella scrittura di vari romanzi), l'articolo crediamo colga ancora l'essenzialità del costante e immutato nucleo ispirativo, oltreché della personalità, del pittore.

"Homettiometti"

Angosce quotidiane e messaggi di umanità

nelle tele di Giorgio da Valeggia

La netta simbiosi fra vita e pittura in Giorgio da Valeggia (nome d’arte di Giorgio Sartoretti) è forse la chiave per interpretare a fondo le sue opere e soprattutto l'evoluzione della sua "ricerca". Se, infatti, i suoi cinquant'anni non possono considerarsi proprio avventurosi, la sua vicenda umana è stata, invece, di certo tumultuosa, movimentata. Padre di sei figli, imbianchino, decoratore e commerciante di colori e cornici, riprende a dipingere verso i trent'anni sotto la scuola prima di Carlo Bossone e poi di Rino Stringara, dai quali acquisisce - attraverso la tecnica impressionista - lo stile ossolano basato sulle nature morte, i paesaggi, le figure e anche su un continuo richiamo a tradizioni, luoghi e oggetti ormai scomparsi o in via di estinzione. Le ricorrenti crisi sentimentali ed esistenziali, lo portano ben presto, però, ad inserire raffigurazioni simboliche e metafisiche, riflesso di un tormento e una ricerca interiori molto profondi. E molte opere di questo periodo, come ebbe a scrivere Giuseppe Possa, "possiedono quel fascino poetico intessuto di ambigui miraggi e dotato di un arcano potere d'illusione, quasi trascrizione allucinata proveniente da un mondo onirico: forse grido forsennato d'angoscia o di disperante solitudine cosmica".

Nonostante la fine del suo matrimonio e altri momenti cupi (che lo porteranno addirittura a lasciare la città per "rifugiarsi" in una baita a Valeggia, una sperduta frazione di Montescheno), Sartoretti riesce, però, a oltrepassare i frutti del suo tormento e a dar vita ad un nuovo ciclo pittorico imperniato su una forte carica umana e sociale. Per l'autore: "ogni uomo racchiude dentro di sé un piccolo universo, con sensazioni-emozioni comuni a tutti gli esseri e occorre la capacità proprio di captarle ed esternarle". Le tele di questo periodo così, sorrette da rappresentazioni anche allegoriche, "fissano" soprattutto situazioni psicologiche (attraverso ritratti "vivi") o socio-politiche ("Saraievo"), infine misteriose-rievocative ("Mio fratello cosmico").

Sempre secondo Possa, l'intenzione dell'autore "sarebbe portare se stesso, ma di conseguenza anche gli altri, a indagare nel profondo del proprio Io e a guardare al di là della mera contingenza, con un messaggio diretto, teso all'identificazione dei valori spirituali, nonché alla rappresentazione degli orrori di cui il mondo è testimone". E sono stati forse questi stessi orrori, vissuti con angosciosa impotenza, ad aver fatto approdare la "ricerca" di Giorgio da Valeggia al recente periodo, forse il più inquietante: quello degli "HomettiHometti" (che da appunto il titolo alla mostra personale organizzata a Masera dal 19 al 26 dicembre 1966). Questi piccoli "uomini-larve", rattrappiti su se stessi o protesi ad "afferrare il nulla", rappresentano le nostre paure, le nostre illusioni, in fondo la nostra tragedia esistenziale di esseri-oggetto in una società massificata, falsamente libertaria, dove la dimensione umana trova ormai spazi sempre più ristretti per esprimersi.

I "mostriciattoli" di Giorgio da Valeggia pare fuoriescano dalle tele per sconvolgere le nostre convinzioni-certezze, per far esplodere le nostre complici responsabilità di fronte al degrado odierno. Quindi un messaggio forse cupo, ma efficace di esortazione, che lo stesso Giorgio da Valeggia raccoglie ogni volta anche su di sé portando sempre a nuovi ed imprevedibili livelli sia la sua creatività pittorica, sia la sua esistenza.

Giorgio Quaglia

(Domodossola, Novembre 1996)

 

G. Possa, G. Quaglia,                           G. da Valeggia


Viewing all articles
Browse latest Browse all 324

Trending Articles