Nato a Tropea nel 1947. Vive e opera a Trezzano sul
Naviglio (MI). Diplomato all'Accademia di Belle Arti di Brera, Milano. Pittore,
docente e critico d'arte. Ha allestito più di cinquanta esposizioni
"personali" e partecipato a oltre trecento mostre di gruppo e
rassegne d'arte. Ha insegnato alla Libera Accademia di Belle Arti di Brescia.
Fondatore, Docente e Direttore della Scuola Civica di Disegno e Tecniche pittoriche
di Trezzano sul Naviglio. Il n. 13 di Controcorrente, rivista di arte e cultura
diretta a Milano da Gianni Pre, gli ha dedicato la copertina e un inserto. Qui
pubblichiamo l’articolo che Giuseppe
Possa ha dedicato all’artista.
Pittore, scrittore, critico e
divulgatore d’arte, curatore di mostre, libero docente, Franco Migliaccio, si può ben dire, è un operatore
culturale a tutto campo. Così, quando sono andato a trovarlo, nella sua
abitazione-studio a Trezzano sul
Naviglio, mi è venuto spontaneo chiedergli un personale giudizio sull’arte
di oggi: <<L’arte più recente>>,
mi risponde <<si dibatte in un mare
di contraddizioni, di cui sarebbe assai lungo vederne le cause, strutturali e
sovrastrutturali. La quantità s’è imposta sulla qualità; la qualità annega in
un mare di mediocrità. L’arte oggi è fondata sulla reiterazione di formule
vecchie fatte passare per nuove. Spesso trova le sue ragioni non in quella di
un’autentica
necessità d’espressione, ma in quella delle mode. Gallerie, mercanti,
collezionisti, ecc., coadiuvati da influenti ‘mercenari del giudizio’ sembrano
sempre più orientati in tal senso. Ci troviamo in una situazione avvilente,
nella quale quasi mai i riconoscimenti vanno a chi veramente merita. Con questo
non voglio dire che sia tutto da buttare. Vi sono cose interessanti che non solo
vanno salvate, ma che necessiterebbero di una più ampia divulgazione. Ed è
quello che io, nel mio piccolo, tento
di fare: con corsi teorici, conferenze, saggi, articoli e via dicendo>>.
Già che siamo in tema, lo incalzo, cosa consiglieresti a un giovane desideroso
di intraprendere la carriera artistica?
<<Mi sentirei un po’ frenato>>, afferma con la pacatezza che gli è abituale <<nel consigliargli di seguire il proprio istinto, viste le difficoltà cui andrebbe inevitabilmente incontro. Il mercato dell’arte gira sempre sugli stessi nomi: è conservatore ed è poco propenso ad investire sui giovani. Per uno che ce la fa, mille sono costretti a dedicarsi ad altre cose che spesso non hanno niente a vedere con l’arte e che, pertanto, sottraggono energie e tempo a chi avrebbe potuto impiegarli assai meglio in maniera molto più fruttuosa. Tuttavia, non cercherai neppure di scoraggiarlo, una volta che ne avessi apprezzato le qualità e sentite le ragioni come urgenti, fortemente motivate da un punto di vista creativo ed esistenziale >>.
Queste considerazioni di Franco Migliaccio derivano da una lunga
esperienza, maturata nei ruggenti anni Settanta, tempi di intellettuali
militanti pungolati da contestazioni e conflitti radicali, da profondi segni
d’inquietudine e dal desiderio di vasti mutamenti socio-culturali: mai c’è
stato momento altrettanto dominato dall’aspettativa e dalla frenesia di
cambiamenti.
Nato a Troppa nel 1947, diplomatosi all’Istituto Statale d’Arte di Vibo Valentia (1965), il giovane Franco a Milano si iscrive all’Accademia di Brera (dove si diplomerà nel 1972), frequentando i corsi del pittore Pompeo Borra e del docente di storia dell’Arte Guido Ballo.
È, appunto, il tormentato periodo della contestazione studentesca, con quell’aspirazione personale e collettiva alla libertà, con l’insofferenza verso ogni gerarchia, per la passione delle grandi idee e per le grandi trasformazioni. La politica entrava nelle Accademie, diventando palestra e laboratorio dell’Italia che voleva cambiare. A Brera, Migliaccio è uno dei protagonisti che organizza le lotte studentesche, animatore di quel movimento sessantottino che separò <<come un rasoio>> il passato dal futuro, in un emblematico processo di modernizzazione.
Subito dopo aderisce al Partito Comunista Internazionalista. Queste esperienze politiche hanno motivato in lui l’elaborazione di una pittura a sfondo civile-sociale.
Siamo nella prima metà degli anni
Settanta (è già sposato e ha una figlia), i suoi quadri, che vende a privati,
collezionisti, centri culturali, e i suoi murali dipinti in scuole, palestre
comunali e altri luoghi pubblici, gli permettono di vivere serenamente. Elabora
cicli di quadri sulle lotte operaie in Italia e in Europa, sulla resistenza vietnamita,
sui temi ecologici (interessante la serie dei cimiteri delle macchine,
riprodotta con una tecnica oggettiva, quasi fotografica). Non trascura neppure
il mondo degli alienati mentali e dell’infanzia disadattata, della condizione
femminile, degli immigrati. Egli, insomma, affronta, in questa produzione, i
molteplici drammi della contemporaneità, con un’aderenza acuta e macerata al
torturato tessuto civile, tanto da spingere i fruitori a prendere coscienza
della realtà, così com’è, nelle sue innumerevoli contraddizioni sociali. Nel
frattempo, comincia ad interessarsi, anche se solo sporadicamente, di critica
presentando giovani pittori. La sua prima mostra personale risale al 1970,
presso la Galleria Ciovasso e in
seguito è invitato a partecipare alle principali rassegne di tendenza, come:
cento pittori per il socialismo (curata da Mario
De Micheli), per la Spagna
libera, <<Ora e sempre resistenza>>, mostra <<Da Corrente a
Oggi>> (curata da Giorgio Seveso),
<<Sentieri della pace>>.
Nella seconda metà degli anni Settanta,
i suoi soggetti privilegiano la contrapposizione fra realtà e messaggio dei
mass-media. Pertanto, Migliaccio, per esemplificare il suo discorso figurativo,
che tende ad arricchirsi addirittura di presupposti ideologici, cerca di
proporre in unico quadro la stessa tematica com’è nell’esistenza concreta e
come la presentano i mezzi di comunicazione o la pubblicità (questi ultimi
mostrano un mondo fantastico, evasivo, mentre la realtà è squallida, ostile:
così in una di tali opere – scelgo a caso tra le molte dello stesso genere –
appare, affisso su di un muro, un manifesto pubblicitario, reso in modo veristico,
e davanti a esso una mendicante, in netto contrasto con la raffigurazione
sensuale di una bella ragazza: ambedue, nell’intenzione dell’autore, vogliono
rappresentare le facce antitetiche dell’essere donna). Si tratta di
composizioni precise e circostanziate nell’impianto e nei dettagli, ma dove
perdura lo spirito critico di prima e l’acutezza di un occhio che sa cogliere
le contraddizioni in atto.
Dal 1978 e fino al tempo della crisi con gli americani per il Golfo della Sirte (1987), ha tenuto un rapporto di lavoro con la Libia, per la quale ha disegnato francobolli, manifesti e progetti vari.
Negli anni Ottanta, instaura una lunga collaborazione con lo <<Studio Alchimia>> e con Alessandro Mendini (noto e affermato designer): insieme realizzano diversi pezzi storici, come la poltrona di Proust. Le vecchie tematiche non trovano più riscontro: in questo periodo la sua pittura affronta soggetti meno pregnanti e si dedica in modo particolare alla <<strada>> americana, con i temi <<on the road>> (mastodontici camion, grattacieli, metropoli luccicanti piene di insegne).
Inoltre, sviluppa un ciclo di nudi
spesso provocanti, resi in maniera fin troppo concreta, ma che vogliono richiamare
l’attenzione sulla <<donna oggetto>>, vista come speculazione sulla
condizione femminile. Nel contempo, intraprende un’attività culturale
sistematica sul piano della divulgazione critica: inizia, di conseguenza, a
collaborare con giornali, riviste, pubblicazioni varie; cura mostre,
presentazioni; propone corsi teorici anche in giro per l’Italia e in Svizzera. Nel
1987 fonda la <<Scuola di Disegno
e Tecniche pittoriche>> di Trezzano
sul Naviglio che ha riscosso e riscuote tuttora un notevole successo.
Comincia a dare alle stampe i suoi primi libri, fra i quali <<Capire l’Arte>> (un testo
destinato agli studenti di qualsiasi indirizzo; a coloro che, pur comprendendo
l’importanza dell’arte, non ne conoscono appieno linguaggi e tecniche, ma
desiderano arricchire il proprio bagaglio culturale; ma pure a quelle persone
che le assegnano un ruolo marginale o addirittura sono indifferenti di fronte
ad essa, non avendo avuto
occasioni di approccio nelle esperienze giovanili);
<<Tropea>> (una storia
di questa interessante e antica città, scritta con amore di “figlio”, infatti,
egli illustra la Tropea
di un tempo e quella di un non lontano passato che si fondono armoniosamente,
per rievocare un mito della sua giovinezza, al quale egli spesso ritorna
seguendo una naturale inclinazione, una fedeltà appassionata).
Migliaccio ha pure pubblicato un corposo volume <<Le parole dell’arte>>, che è un dizionario di termini artistici, dove figurano gruppi, movimenti, stili, scuole, tendenze, civiltà, dottrine, concetti, modi espressivi, tecniche, tecnologie, riviste, esposizioni, rassegne, nomi semplici e complessi, costituenti il lessico più aggiornato dell’arte, antica, moderna e contemporanea, riguardante pittura, scultura, fotografia, grafica e arte applicata, in tremila lemmi.
Che cosa farà ora Franco Migliaccio, dopo il complesso avvicendamento di simili
esperienze? È lui stesso a dircelo: <<Proseguirò
a rinnovare me stesso nella continuità delle scelte personali. In questi anni,
artisticamente sono ritornato ad una pittura di impostazione sociale,
rinunciando, però, al carattere oggettivo iperrealista ed esaltando, invece, i
fattori emozionali, mediante l’uso di una materia molto suggestiva: i temi sono
quelli di una nuova urbanità, devastata dall’incuria e dall’abbandono della
guerra o da eventi naturali. Inoltre, porto avanti la consueta attività critica
e continuo nella diffusione di corsi tematici, impostati metodologicamente per
far capire l’arte e le sue problematiche. Infine, sono particolarmente
sensibile alla studio di movimenti contemporanei più recenti, ovvero dalle
neoavanguardie ad oggi>>.
Per concludere, aggiungo che le sue attività culturali sono state recensite sui maggiori giornali e periodici, sia italiani sia stranieri; mentre, i numerosi premi e riconoscimenti da lui ottenuti attestano il successo della sua singolare forza espressiva.
Giuseppe Possa
