Sabato 25 maggio, alle ore 17.30, nella Sala mostre del “Teatro La Fabbrica” di Villadossola sarà presentata da Maurizio De Paoli la mostra “Via Vitis” di Sergio Bertinotti, quattordici tele (oltre una di epilogo e un'altra di prologo) raffiguranti le
“tappe” del singolare percorso, originale e unico nel suo genere, che l’artista di Mergozzo ha dedicato alla vite e al vino. Nel contempo sarà presentato anche il catalogo di queste opere, con le riflessioni di Mons. Giovan Battista Gandolfo, gli scritti di Pier Franco Midali e di Giuseppe Possa (che per l’occasione parlerà del pittore e dei suoi cicli artistici). Durante la serata, Midali e Renato Boschi illustreranno, poi, il percorso “Via Vitis” che, qualora realizzato, unirebbe idealmente tutti i comuni viticoli dell’Ossola e diverrebbe un tragitto turistico che associa l’arte alla viticoltura. La mostra gode del patrocinio del Comune di Villadossola e sarà introdotta dal sindaco Bruno Toscani. Pubblichiamo qui di seguito la prefazione al catalogo di Giuseppe Possa e la postfazione di Pier Franco Midali.
SERGIO BERTINOTTI: "VIA VITIS"
(dalla prefazione di Giuseppe Possa)
Dopo aver dipinto alcuni importanti cicli della sua pittura - dalle Storie di S. Francesco sulla “via della povertà” alla “Via Crucis”, dalla “Via Lucis” alla “Via della Fede” (senza dimenticare un piccolo volumetto dedicato alla “Via della misericordia”), tutti raccolti in preziosi cataloghi pubblicati da “?ncora” di Milano - Sergio Bertinotti presenta ora la “Via Vitis”, un racconto sulla vite e sul vino, in una contemplazione artistica legata sempre al sacro. Si tratta di un percorso scenografico, con composizioni ricche di tensioni emotive, che ben si adattano al racconto per immagini, in un itinerario visivo e visionario facilmente assimilabile pure da un osservatore comune.
La vite è un tema rilevante in tutte le colture e fa parte di ogni cultura, anche la nostra cristiana, che attinge alla Bibbia, a partire da Noè. Ed è appunto al Nuovo e al Vecchio Testamento che s’ispira questo recente “percorso” di Bertinotti.
Tutto è iniziato durante un “convivio” tra noi amici, quando a un certo punto Pier Franco Midali iniziò a parlare del ritorno alla coltivazione della vite ossolana in questi ultimi anni, che in gran parte era stata abbandonata dopo la guerra. Sosteneva che tornare a produrre un vino di qualità, in un contesto territoriale di turismo, può rappresentare la nuova frontiera, alla quale dedicarsi per contribuire a rilanciare l’immagine dell’Ossola, che rivendica un passato di autentica operosità contadina, oggi purtroppo in via d’estinzione. Io, rivolgendomi al pittore Sergio Bertinotti, che era con noi, e di cui già conoscevo i successi artistici precedenti, gli dissi: <<Ecco, Sergio, cosa potresti dipingere: una “Via Vitis”>>.
L’idea fu all’istante presa a cuore da Midali, che entusiasmandoci, propose un’iniziativa con questo titolo. Bertinotti si è subito lasciato da lui coinvolgere, preparando prima una serie di 14 bozzetti delle “tappe”, poi i quadri definitivi (che sono diventati 16 per l’aggiunta di un prologo e di un epilogo).
Come si sa, frutto della sapienza e saggezza popolare, la vite affonda le proprie “radici” negli albori della storia, nelle leggende e nei miti. Il vino, inoltre, accompagna tutti i percorsi delle culture, dalle origini alla mitologia babilonese, da quella biblica a quella egizia, dal culto di Dioniso-Bacco, fino all’aspetto sacrale nel cristianesimo e a quello laico nel simposio romano, perdurando ancora oggi, oltre che come bevanda, quale elemento aggregante, aspetto rituale delle nostre tradizioni, simbolo con il quale si
celebrano occasioni speciali, si rinnovano amicizie, si sancisce l’esito di una buona trattativa. Tuttavia, qui l’artista ha voluto proseguire sulle sue “vie” precedenti, così - coadiuvato da Midali e da Mons. Giovan Battista Gandolfo (che già l’aveva supportato, con concise e profonde meditazioni, nelle esperienze precedenti) e con la collaborazione di Luigi Codemo esperto di arte sacra, unitamente a qualche mio marginale suggerimento - ha voluto dipingere questa “via” sulla vite, conferendole ancora una volta uno “stampo” sacro, rinunciando al profano, lasciando, comunque, ampio spazio alla “natura” e alla riflessione.
Se il vino, con le attività legate alla sua produzione e alle occasioni in cui viene consumato, è stato fin dai tempi più antichi oggetto della rappresentazione artistica, mai, però, questo tema è stato affrontato in un unico “percorso”, occhieggiante alla sorgente del divino e del sacro, con una logica concatenazione nel tempo e nella peculiarità delle vicende, come l’ha dipinto il pittore di Mergozzo. Nella “Via Vitis” di Bertinotti, i soggetti dei singoli quadri hanno valenza di “icone” mediate dalla sapienza religiosa, unita all’antica saggezza popolare, e proprio per questo si può tranquillamente affermare che nel suo insieme l’opera, con la personale cifra stilistica e cromatica dell’autore, è originale e unica nel suo genere (non risulta, infatti, che in qualche parte del mondo siano mai state create, da un solo autore, quadri simili in un’unica sequenza pittorica, denominata “Via Vitis”).
Con una pennellata vibrante e pulita, dai colori lucenti a creare sovente un’atmosfera gioiosa, l’artista, per restare in sintonia coi cicli precedenti, ha raffigurato queste tele nello stesso formato e nel medesimo taglio espressivo. Le immagini, sempre aderenti al soggetto nelle selezioni iconografiche, non appartengono a rivisitazioni tradizionali del passato o a catalogazioni di tendenze, ma sono capaci di sollecitare, nella loro semplicità e originalità, l’immaginario e la spiritualità di ogni osservatore.
Perdurano anche qui alcuni elementi simbolici di Bertinotti: come certe strutture architettoniche a forme geometriche; l’utilizzo di figure stilizzate, sobrie, a campiture piatte, senza le fattezze del viso; o come lo splendore del sole-luna, cerchio illuminato sempre presente in tutti gli episodi a rappresentare una “luce” soprannaturale che, per i credenti, è la sorgente divina che illumina il percorso della storia. Qui, però, l’artista non inserisce più le vicende in un cielo nero, ma in una modulazione
violacea più intonata al nuovo contesto. Pure in questa “via”, Il reale è ridotto all’essenzialità, spoglio di ogni elemento superfluo; inoltre, alcuni lavori hanno come sfondo paesaggi a campo lungo, scene bucoliche con profondità prospettica, ritmi atmosferici di adesione effettiva al racconto. Le ombre appaiono lineari e carezzano persone, luoghi o edifici senza tempo. Questi ultimi paiono simili a scrigni che ospitano avvenimenti raccontati, in ambienti o in trasposizioni dal ritmo teatrale, dentro cui l’autore blocca i personaggi. Essi paiono diluirsi in un racchiuso “corollario”, con immagini a volte affidate all’esigenza dello spirito, in altre occasioni a gesti di stupore o ad arcani eventi di speranza, oppure a frammenti di momenti della vita e dei suoi frutti (interessanti quei dipinti che mostrano il susseguirsi dei ritmi rituali contadini delle civiltà agropastorali).
L’insieme delle “tappe” e la loro cronologia risultano già definite nel piccolo formato, sia dal punto di vista formale che esecutivo, ma acquistano maggior valore artistico nei quadri definitivi, in cui Bertinotti propone tutta una serie di stimolanti capolavori. Tra questi: “Le nozze di Cana”, “L’ultima cena” o piccoli “gioielli” come “L’aceto offerto a Gesù in croce”, “Io sono la vite e voi i tralci”, “I cavalieri dell’Apocalisse”, ricchi d’accenti universali che mettono in luce, in modo allegorico, gli eventi, così come li affronta la percezione pittorica dell’artista. Anche questi lavori, composti in modo scenografico, coinvolgono a volte più azioni narrative e in strutture che ne mettono in risalto la trascrizione geometrica, dentro cui i colori si scompongono nelle tinte chiare, raggianti e ricche d’emozioni. Se prendiamo un episodio emblematico, notiamo - per esempio, ne
“Le nozze di Cana” - vibrazioni prismatiche e luminose, dove il prodigio di Cristo, che trasforma l’acqua in vino, appare come un naturale accadimento di luce. Il conseguente spazio-colore sembra cospargere, sul luogo della scena, energie naturali e celesti per accogliere l’evento miracoloso. In altri episodi, come nel “Noè ubriaco e deriso dal figlio Cam”, l’arca in lontananza dà chiarezza all’episodio, altrimenti non facilmente intuibile. O quando, ne “L’ultima cena”, “fotografa” il momento in cui Cristo solleva il calice, mostrandolo in piedi (in un atteggiamento un po’ dissimile dall’iconografia tradizionale). Originale è pure la rappresentazione di “Io sono la vite e voi i tralci”, interpretata con un estro mistico e di magico realismo che affascina.
Infine, Bertinotti non ha variato, rispetto al passato, i suoi colori che restano in effusioni emozionali di luce, dove ogni suo racconto per immagini è ben connesso nella testimonianza, non tanto del mito di Bacco (qui appena accennato), ma del rito col vino, che ha mantenuto invariata la sua valenza metaforica nei millenni, di volta in volta, abbinato all’ebbrezza, alla forza, allo spirito, al sangue sacrificale, all’amicizia, all’allegria. Ecco, allora, le opere disvelarsi a chi le guarda nelle stesse intenzioni che il pittore-poeta si era posto nel realizzarle.
Sergio Bertinotti - che vive e opera a Mergozzo, dove è nato nel 1938 - a partire dagli anni Ottanta, ha iniziato a dipingere paesaggi e quadri surreali dalla forte carica simbolica, con certe figure oniriche e mitologiche racchiuse, sovente, dentro ambienti dalle architetture metafisiche. Sebbene fosse infervorato dai colori già da ragazzo, si
dedicò alla sua passione, fino a quegli anni, solo nei ritagli di tempo (Il pittore, oltre ad aver esercitato la propria attività lavorativa, è stato per anni Amministratore e Sindaco del suo paese. Sposato con Lidia nel 1965, avrà 3 figlie, Elena, Emanuela e Paola). In seguito, si perfeziona con lo scultore e grafico Mario Molteni (1935-1999) docente all’Accademia di Brera, con il quale dal 1988 ha condiviso lo studio di Candoglia sino alla prematura scomparsa del maestro, arricchendo la propria pittura di metafore e di mistero, sconfinando pure in un mondo lirico e ludico. Dopo la sua prima personale a Palazzo Visconti di Verbania-Pallanza nel 2001, Bertinotti ha allestito mostre a Ferrara, Firenze, Padova, Milano, Novara e in altre località, esponendo anche all’estero (soprattutto in Francia e in Austria) in numerose collettive. Di lui si sono interessati, su giornali e riviste, noti critici (tra gli altri: Marco Rosci, Giorgio Segato, Gianni Pre, i padri Vincenzo Coli ed Enzo Fortunato, Mons. Giovan Battista Gandolfo, Luigi Codemo). Un primo catalogo dei suoi dipinti è stato pubblicato dalla Edas di Padova, diretta da Carla Surian.
A partire dal Duemila, finalmente svincolato dagli impegni di lavoro (geometra libero professionista), la sua arte prende una svolta decisiva. Dipinge il ciclo delle “Storie di S. Francesco” (in cui ha raffigurato i momenti più significativi dell’esistenza del Santo, raffigurandone, in ogni scena, l’avvenimento, lo svolgimento e l’ambientazione, con naturalezza e con quella semplicità, spogliata del superfluo, conforme alla scelta di vita “in povertà” di S. Francesco) che fu esposto nel 2005 ad Assisi nel chiostro della Basilica del Santo; nella Basilica Santi Apostoli e a Castel Sant’Angelo di Roma; in seguito a “La Fabbrica” di Villadossola e in altre città. Per l’occasione, è stato stampato un volume con queste opere dall’Editrice “?ncora” di Milano. Nell’ottobre dello stesso anno, l’artista è stato invitato al programma “A sua immagine” su RaiUno, dove ha dipinto in diretta “S. Francesco e l’umiltà” e a fine trasmissione si è parlato anche del suo libro, dedicato alle storie del santo umbro, sulla “via della povertà”. Mentre nel 2008 la mostra con queste opere ha inaugurato la cappella, restaurata per l’occasione, del “Cantico delle creature” al Sacro Monte di Orta.
Bertinotti, nel frattempo, conclude la “Via Crucis”, dipinta con
molti personaggi, in una spazialità scenica e attorno a un paesaggio vasto, dove le singole “stazioni” sono affrontate con un tocco personale, sebbene narrate secondo la consuetudine della Chiesa, ma senza forzare il racconto in senso espressionista, anzi cogliendo, in un’atmosfera moderna, la passione di Cristo nella sua spiritualità e misericordia. La “Via Crucis” (che è anche oggetto di un volume edito da “?ncora”) è stata presentata e lasciata in mostra durante la Pasqua del 2008, nella Basilica S. Croce in Gerusalemme (presso la stessa Basilica, nel Museo di Nennolina, Beata Antonietta Meo, sono esposti in permanenza due suoi quadri dedicati alla Beata). Nel 2012 il libro, con risonanze musicali, immagini e recitazione, è stato inserito nel programma “Passio Novara 2012”.
È del 2010 la realizzazione di una coinvolgente “Via Lucis”, costruita su un racconto figurato di alta e intensa portata artistico-creativa, ispirata da un’estatica illuminazione interiore e che fu esposta al Sacro Monte Calvario di Domodossola. Questo “percorso” proposto dalla Chiesa in tempi recenti, è già stato affrontato da altri artisti, ma in una configurazione di tipo classico, mentre Bertinotti ne modernizza la struttura, con impostazioni grafiche e cromatiche che meglio aderiscono a una cultura contemporanea, nella doppia valenza religiosa e laica di cammino nella luce su questa terra e di speranza nella vita eterna. Queste sue opere furono esposte al Convegno Eucaristico Nazionale tenutosi ad Ancona dal 3 al 10 settembre 2011, mentre il libro “Via Lucis” (sempre edito da “?ncora”) è stato musicato da Sergio Scapini e Giovanni Sardo (fisarmonica e violino) con proiezione delle diapositive dei dipinti in Basilica. Alle pareti della Sala della Meditazione dove è stato accolto per l’occasione il Papa, sono stati esposti i dipinti delle 14 stazioni della “Via Lucis”, ricavati dalle diapositive e stampati a misura reale (cm. 50x60).
Papa Benedetto XVI proclamava il 2012 “Anno della Fede” e l’Editrice “?ncora” chiedeva
a Bertinotti se era disposto a dipingere episodi a essi correlati, così da pubblicare un volume analogo a quelli precedenti. Egli si consultò con Mons. Gandolfo che ritenne il consiglio essere la “via” da seguire, anzi gli suggerì pure come impostare le “stazioni”, non essendoci di questo “percorso” ricerche precedenti. Così Bertinotti preparò le tavole della “Via della Fede”, ponendo in luce in modo allegorico gli eventi, come li sentiva la sua percezione pittorica, nel rappresentare un mistero non spiegabile con la comprensione umana, ma la cui rivelazione ne coinvolge emotivamente la coscienza. Nell’ottobre 2012 al convegno nazionale UCAI a Roma, il libro è stato musicato, sempre da Sergio Scapini e Giovanni Sardo, con la proiezione delle diapositive dei dipinti. L’evento si è ripetuto nella Basilica dei Santi Martiri Vittore e Corona a Feltre, in provincia di Belluno.
In seguito alla prematura scomparsa della moglie, nell’aprile 2011 dopo una lunga malattia, l’artista aveva un po’ allentato la sua attività pittorica, ripresa in questi ultimi anni con la “Via Vitis”, nel 2019 oggetto di un’esposizione a “La Fabbrica di Villadossola”, della stampa di questo catalogo e di altre iniziative.
In generale, esaminando le sue opere nel complesso, si può concludere che la pittura di Sergio Bertinotti riesce a cogliere e a esprimere, in modo efficace e comprensibile, il senso del mistero che, nell’emozionante estetica della pittura, prende un vero e proprio valore artistico, attraverso un credo espresso nella serenità e nella gioia, dentro cui l’osservatore può ritrovare, con le sue emozioni e con le sue differenti percezioni di fede, la tessera di un proprio mosaico spirituale o semplicemente una personale riflessione intellettuale. (Giuseppe Possa)
VIA VITIS: VIGNA, VINO E ARTE… VIAGGIO IN TERRA D’OSSOLA
(dalla postfazione di Pier Franco Midali)
Bevi del buon vino e lascia andare l’acqua al mulino. Chissà quante volte, nel corso dei secoli, abbiamo sentito ripetere questo detto popolare in terra d’Ossola, dove il territorio scosceso delle nostre valli è plasmato tra le rive terrazzate coltivate a vite e l’acqua dei torrenti che ruotava le macine dei mulini. Pane e vino, ossia gli alimenti necessari a sostenere genti laboriose e infaticabili. Nasce da questa semplice constatazione l’idea di realizzare la “Via Vitis”, un itinerario legato alla vite e al vino dell’esperienza viticola di questa terra e insieme metafora e sostanza dei giorni nostri. Tempi moderni in cui la viticultura sembra aver scoperto chissà quali prerogative, mentre in realtà altro non può che continuare l’antica arte enologica coltivata da appassionati viticultori.
Mi piace l’idea della metafora, cioè qualcosa che va a sostituire l’essenza o la funzione della
moderna enologia sovrapponendola, se non sostituendola, con un’immagine forte e carica di espressività; un percorso tra le località ossolane, in cui la vite e il vino hanno segnato sia la storia delle borgate sia i volti rugosi dei vignaioli nostrani. E lungo questa parabola o questa metafora, c’è il lavoro paziente, motivato, intrepido e coraggioso di tanti agricoltori. Persone che hanno saputo tramandare l’arte antica della viticultura sino a farle meritare, da queste parti, l’appellativo di “eroica”. Un lavoro manuale, artigianale, quasi mai sostenuto da macchinari o attrezzature agricole automatiche, impossibili da utilizzare sulle rive terrazzate contornanti i villaggi alpini. Un impegno scandito semplicemente dai ritmi della natura e dal susseguirsi delle stagioni che segnano l’esistenza di uomini e vitigni. Un lavoro che diventa arte, sia in cantina, sia nei vigneti. Condito soltanto dalla naturale concretezza delle genti ossolane, che per secoli hanno saputo farlo diventare solida base su cui costruire un’economia familiare di sussistenza, una fonte di guadagno, uno straordinario modo di concepire e pianificare il territorio. In definitiva, azioni quotidiane che ripetute per secoli si sono rivelate propizie a favorire la vita e garantire la permanenza su queste terre avare e difficili.
Perché il lavoro si compie con le mani, infilandole dentro la natura, tra i sassi dei terrazzamenti e la terra umida in cui inserire le radici delle barbatelle. E si esprime anche con la voglia, direi con la volontà di interrogarsi continuamente sulla possibilità di migliorarsi e affinare il prodotto finito, il vino, rimettendo insieme le due metà del cielo: la terra e il progresso, la memoria e il presente, i ricordi e la modernità, per dare un’immagine vincente al proprio lavoro e farlo diventare “vino di qualità” o più semplicemente “vino ossolano”.
L’idea della “Via Vitis”, che a prima vista poteva sembrare una "boutade" o nulla di più di una frase spiritosa incapace di attirare l’attenzione di camminatori e addetti alla sentieristica, dovrebbe invece diventare oggetto di dibattito e di studio. Soprattutto dovrebbe avvicinare l’arte al vino e la pittura al patrimonio enologico locale. L’iniziativa entusiasmò il pittore di Mergozzo, Sergio Bertinotti, esperto realizzatore di cicli pittorici monotematici, e lo convinse a concretizzare, in un ristretto arco temporale, dapprima una serie di bozzetti con le tappe del percorso legato al vino e in seguito i quadri definitivi. Una serie di piccoli capolavori da incastonare in luoghi prestabiliti del cammino culturale-turistico-enologico della “Via Vitis”. Opere che dovrebbero essere posizionate nelle località del territorio ossolano, dove gli antichi torchi, le cantine a volta, gli edifici di culto o le osterie sanno ancora parlare del vino e della sua storia millenaria.
I capolavori raffigurati, all’interno del libro che stringete tra le mani, bene si collocherebbero tra i reperti storici dell’enologia ossolana, oggi purtroppo soffocati da moderne costruzioni attigue o sostituiti dagli attuali arnesi di acciaio e vetroresina. In realtà, queste testimonianze, sono ancora in grado di regalare ricordi e sensazioni legate a un passato tuttora fecondo dal punto di vista estetico e incantevole per come sia potuto arrivare fino a noi.
L’idea è quella di coinvolgere il camminatore in un tragitto che sappia generare sensazioni, impressioni ed emozioni forti. Un itinerario che possa appagare la curiosità grazie all’incontaminata bellezza dei luoghi e dei paesaggi e quella degli antichi edifici in pietra e dei reperti di legno. Testimonianze ancora in grado di esprimere, nonostante le precarie condizioni di manutenzione o addirittura l’accantonamento, stupore per la semplicità con cui furono costruiti e incredulità per la praticità connessa al loro utilizzo. Questo tragitto altro non è se non un po’ di chilometri snodati tra siti storici e culturali di sicura, provata importanza e fortunatamente ancora a stretto contatto col nostro vivere quotidiano.
La “Via Vitis” è un itinerario enologico lungo le strade ossolane del vino, ancora mancante tra le innumerevoli proposte di sentieri “dedicati” di cui l’Ossola dispone. Ancor oggi si registra, infatti, un’insufficiente valorizzazione delle località del vino e dei reperti enologici, frutto della secolare esperienza viticola delle sue genti. Con quest’idea si vorrebbe porre rimedio. Se adeguatamente segnalato e promosso, il sentiero della “Via Vitis” potrebbe rappresentare un nuovo stimolo per la promozione e la commercializzazione dei prodotti ossolani derivanti dall’uva: vino, grappa, acquavite, liquori, elisir … A proposito di quintessenze, vi consiglio di sfogliare il libro con assoluta calma. Tra le pagine più belle troverete sicuramente l’esito del percorso della “Via Vitis” in forma “distillata”.
Perché la speranza di continuare a far conoscere e apprezzare l’arte di Sergio e la bellezza dei paesaggi vitati ossolani vi sorprenderà. E sicuramente ne varrà la pena… Non so se riusciremo a far sì che il camminatore consideri il vino come prodotto fondamentale della terra ossolana. Ci proveremo con costanza, ma soprattutto affiancando l’arte alla viticultura, perché, in fondo, il vino è il settore privilegiato della nostra a
gricoltura e l’arte, l’essenza del territorio ossolano. È un mezzo in grado di attivare relazioni, consolidare amicizie, è un facilitatore culturale, un’occasione di unione, una ricarica per lo spirito e per l’allegria dei cuori. Se solo si riuscisse a far comprendere questo messaggio, cioè come il vino non sia solo un’occasione di degustazione ma un mezzo per trasportare il turista tra l’arte e la cultura ossolana, avremmo ottenuto il miglior successo in assoluto nella storia della viticoltura e del turismo di questa terra. Cultura e agricoltura, turismo e gastronomia, territorio e paesaggio, altro non sono che elementi di un binomio che mette in relazione la città e la campagna, l’agricoltura di montagna e i suoi modelli di sviluppo.
La vigna e il vino… una sorta di sale della terra d’Ossola. Sono un passaporto in grado di traghettare il camminatore tra la bellezza del paesaggio e i sapori indissolubilmente legati a questo lembo di terra, incuneato tra i Cantoni elvetici del Ticino e del Vallese.
Un antico proverbio ci ricorda che chi ha buon vino in casa, ha sempre molti amici alla porta… quindi non dovrebbe stupire se l’Ossola diventasse il territorio, in cui persone affezionate frequentino le osterie e i ristoranti posti lungo il percorso della “Via Vitis”. Del resto, nella cultura occidentale, la storia dell’uomo è sempre stata accompagnata da quella della vite e del vino. Il nettare di Bacco, o il Vino della Nuova Alleanza, non è solo una bevanda inebriante, ma l’essenza stessa della gioia, della vita, della festa, della felicità. Un itinerario legato alla coltura della vite non può, quindi, preterire dalla riscoperta dei luoghi ossolani, dove il vino aveva un carattere sacrale. Da queste parti quasi tutte le famiglie lo producevano e la bevanda, quotidianamente, era presente sulla tavola.
La “Via Vitis” dovrebbe prendere origine nel comune di Villadossola in località Gaggio, nel luogo in cui i vigneti ancor oggi coltivati tra muri a secco e terrazzamenti, “schengian” e “palancher”, parlano ancora una lingua antica. Prima di attraversare il fiume Toce e raggiungere il Comune di Beura Cardezza, l’itinerario percorre i sentieri della collinetta dello sport facendo incontrare il vino con la cultura e il divertimento. Risalendo i tratti di strade romane ancor presenti, la Via Vitis attraversa i vigneti di Cosasca per raggiungere Trontano, il cuore della viticoltura ossolana.
La ridente frazione di Pello è considerata la località ossolana più idonea, per clima ed esposizione al sole, alla piantagione della vigna. Masera e Montecrestese, i comuni successivi a essere interessati dal passaggio della “Via Vitis”, hanno una storia vinicola degna di nota con reperti ancor visibili atti a documentarla. Oira, frazione di Crevoladossola, fa da spartiacque tra la parte di sentiero che raggiunge l’istituto agrario Fobelli di Crodo, nella valle Antigorio, e quello che attraversando le frazioni alte di Crevola ci porta a Monteossolano, in val Bognanco.
Domodossola, con i vigneti delle frazioni di Vagna, Calice, Crosiggia e Anzuno, non può
essere esclusa dalle regioni ossolane interessate dall’itinerario turistico legato al vino. Il capoluogo ossolano è, inoltre, la località dove il vino ha i migliori spazi espositivi e di vendita. Il tragitto riporta poi il turista a Villadossola attraverso i Vigneti di Tappia, un tempo comune autonomo e oggi ridente località del secondo centro ossolano. Attraverso le frazioni Noga, Boschetto e Casa dei Conti, luoghi in cui le cantine ancor oggi visibili meravigliano per lo stile architettonico, si arriva a Varchignoli, la zona dove l’archeologia del vino è così evidente da lasciar trasparire tutta la storia della sua coltivazione.
L’ultima tappa della “Via Vitis” incontra i terrazzamenti di Viganella, oggi frazione di Borgomezzavalle, e l’esperienza vinicola delle sue genti, le uniche in Ossola che pensarono di mettere il simbolo della vite nello stemma comunale. Ogni “stazione” del percorso, qualora il progetto decollasse nella sua versione definitiva, sarà contrassegnata da una delle opere dipinte da Sergio Bertinotti e mirabilmente descritte all’interno del volume.
Mi è piaciuto moltissimo ragionare con Sergio e Giuseppe le ipotetiche tappe artistiche della “Via Vitis”. Ricercare nella mitologia, nel vecchio e nuovo testamento, nel libro dell’Apocalisse e nei classici le “immagini” da imprimere sulla tela è stato come compiere un viaggio nella storia dell’uomo e del suo pensiero religioso. Ci siamo inoltrati in un territorio solitamente di competenza di storici e teologi, ma lo abbiamo fatto con la leggerezza di chi, “sapendo di non sapere”, cammina nei tempi e nei luoghi del lontano passato, alla ricerca del divino nel mondo del vino.
Gli studiosi assicurano che la vite era conosciuta dall’uomo già trecentomila anni fa. Così non è stato difficile trovare le “immagini” da rappresentare sulla tela, per descrivere la storia della vite e del vino. Tutte le civiltà antiche, infatti, collegavano il vino alle loro mitologie e ai loro pensieri filosofici o religiosi. Inoltre, la vite entrava spesso in scena dopo un grande diluvio, a seguito del quale la divinità la offriva agli uomini quale ricompensa per la loro bontà e come patto di una nuova alleanza. La bevanda era il mezzo che consentiva all’uomo di diventare simile agli dei.
“Il vino è la poesia della terra” scrisse Mario Soldati, e questo motto ci riporta in terra d’Ossola, richiamando lo stretto legame che la civiltà contadina di queste Valli ha con la vite e con il vino. I paesi toccati dalla “Via Vitis” profumano di laboriosità. Sono luoghi dove la terra coltivata a vigneto è intimamente legata all’agricoltura, al paesaggio, alla cultura e alla storia delle loro genti.
Con un vecchio proverbio ho voluto iniziare questa dissertazione e con un altro detto popolare la chiudo: “Vangami nella polvere, incalzami nel fango, io ti darò buon vino”. Chiedete ai viticoltori nostrani l’intrinseco messaggio racchiuso nella citazione. Chiedetelo quando li incontrerete lungo il percorso della “Via Vitis” e scoprirete l’anima della Terra d’Ossola, quell’intimo che rischiamo di perdere. (Pier Franco Midali)
Intervista a Pier Franco Midali sul percorso ossolano della "Via Vitis" https://pqlascintilla.wordpress.com/2018/10/24/la-via-vitis-di-sergio-bertinotti-intervista-a-pier-franco-midali/#more-2853
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