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Eugenio Giudici: “L’uomo che non amava il Rex” (Eclissi Editrice)

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66692320_1297518750426195_6492647201745928192_nAnche in questo nuovo libro di Eugenio Giudici (“L’uomo che non amava il Rex”, il sesto della "Suite Di Matteo"), il “giallo” costituisce il lievito delle sue pagine, sebbene apparentemente l’intrigante trama, rispetto ai precedenti, abbia meno suspence nell’evolversi dell’azione e del finale. Qui, però, l’autore costruisce la storia con perfetto stile letterario, soffermandosi di più sugli elementi reali e sulle emozioni o sui sentimenti possibili nel clima rarefatto di una breve crociera degli anni Trenta (per la precisione, siamo nel settembre del 1932). Credo che in pochi romanzi, ormai, gli scrittori riescano a utilizzare un ritmo così elevato di composizione, usando i termini peculiari e forbiti nel descrivere sia gli avvenimenti che gli ambienti in cui si svolgono i fatti, tenendo sempre vivo l’interesse del lettore con digressioni fantasiose e intrecci originali.

Il transatlantico Rex, orgoglio della marineria italiana e genovese, partirà di lì a poco per il suo viaggio inaugurale con l’ambizione di conquistare subito il Nastro Azzurro. Occorre una minicrociera per collaudarlo, ma una minaccia incombe sulla nave e di conseguenza su passeggeri ed equipaggio.  

Al commissario Saro Di Matteo e ad alcuni suoi collaboratori viene concessa una gita premio. Si uniscono così agli altri ospiti, con l’intento di indagare in segreto per impedire un probabile attentato, di cui si sospetta. A bordo c’è un’aria di divertimento e lusso, di vacanza mondana con incontri eccitanti, ma pure drammatici. Impossibile per Di Matteo e la sua squadra godere di quella inaspettata vacanza, anche perché i sospettati sono diversi e gli indizi pochi. Inoltre, qualcuno nell’ombra sta in agguato, per far fallire i suoi piani. E chi mai potrebbe nascondersi dietro l’uomo che non amava il Rex?

Eugenio Giudici, per completare questo romanzo, ha consultato documenti specifici, ha1a5ab27 interpellato persone attinenti con il mondo che ha descritto, come confida lui stesso: <<Sono salito sul Rex attraverso le fantastiche illustrazioni di Edina Altara… la Fondazione Ansaldo mi ha messo a disposizione materiale introvabile, come fotografie della sala macchine, delle caldaie, dei giganteschi turboriduttori ecc. Ho ascoltato anche, e mi sono piaciuti, i racconti di Zeffiro Rossi, capitano di macchina e medaglia d’oro di lunga navigazione, sulla vita di bordo, la passione marinaresca per le parti riposte e segrete come la centrale termica e i tunnel degli assi “sempre ben ingrassati”, dove solo i marinai potevano accedere…>>.

Infine, per come lo conosco io, l’autore ha saputo amalgamare tutte le sue esperienze di vita in un intenso racconto umano, percorso e come sorretto da una vibrazione lirica che dona lievità e morbidezza inconfondibile al suo stile. Ne è nato così un lavoro più singolare, pur tra i suoi numerosi libri, tutti di ottimo livello culturale, soprattutto di fronte alla letteratura d’evasione di questi anni. Egli possiede il dono di un tocco leggero, che conferisce, anche alle situazioni più realistiche o drammatiche, un’aria d’incanto e alla sua prosa sa infondere le cadenze di un ritmo “geniale”  (sebbene, forse, il suo capolavoro sia il libro uscito in contemporanea: “Il sarto di Crema”, un imponente romanzo storico, pubblicato da Castelvecchi, che racconta la vicenda ricca di passioni amorose e la formazione illuministica del giovane Paolo Ghedi, poi impiccato dagli austriaci nel 1816 e rimasto nella memoria popolare come un bandito leggendario).

In tempo di consumismo anche letterario, Giudici è uno scrittore creativo e scorrevole, pure nei dialoghi vivi e culturalmente pregni dei personaggi; egli ci da opere riuscite di piacevole e interessante lettura, confermandosi tra le voci più autentiche della narrativa poliziesca contemporanea (è stato tra i 3 finalisti al Premio Fedeli, dedicato al Giallo e ha ottenuto altri importanti riconoscimenti).

Giuseppe Possa

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E. Giudici e G. Possa

 


Grazia Motetta: una pittrice che predilige dipingere i volti.

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DOMODOSSOLA - Al concorso di pittura “Claudia Giovanola Cerri” di Trontano (VB) nel 2018, Grazia Motetta ha vinto il terzo premio con il quadro “In viaggio”, ma già l’anno precedente con “Sinfonia d’autunno” aveva ottenuto un premio speciale “Per l’originale sinergia fra i due termini del tema proposto”. La pittrice ossolana, però, se si esclude qualche sporadica esposizione in collettiva da giovane, per lo più fuori dalla propria zona, non aveva mai partecipato a concorsi e neppure esposto con una personale. Eppure aveva sempre disegnato fin dall’infanzia e poi dipinto, ma solo per passione e per abbellire la sua abitazione.

73191616_10221518706415879_5645864570791657472_nRicordo che tempo addietro, su suggerimento di un’amica che ne lodava l’abilità tecnica, mi recai da lei per constatarlo di persona. Appena entrato in casa, fui subito “attorniato” dai gatti… raffigurati nelle tele appese alle pareti! Essi possedevano una bellezza virtuosistica che parevano caricare di stimoli narrativi anche gli oggetti familiari di uso quotidiano, che Grazia aveva per lo più adornato con vivaci cromie. Pure le altre opere con i fiori e i volti di persone, create con minuziosità poetica, facevano bella mostra di sé all’interno di cornici semplici, ma riccamente colorate da lei stessa. Fu in quell’occasione che gli suggerii di allestire una mostra con quei quadri figurativi così precisi da sfiorare la perfezione, ma nel contempo trasfigurati. Tali creazioni magiche o trasognate, furono poi oggetto di una personale a Graglia di Baceno, intitolate “D di Donna”.

Cacciato più volte dalle tele, il realismo in pittura ha sempre finito per rientrarci. Sebbene in certi periodi sia stato considerato una negazione della fantasia è costantemente riaffiorato; così altrettanto oggi, in cui gli è stato dato un soffio di moderna eleganza, evitando le secche dell’accademismo. Ed è proprio in questo solco, a me pare, che si sia inserita Grazia Motetta, da autodidatta, senza la mediazione di scuole o maestri, ma aggrappandosi alle proprie doti naturali, che ha portato avanti sfruttando le sue qualità di sorprendente quanto efficace evidenza.

75398311_10221518790897991_1126013697706164224_n72290226_10221518790937992_3040403595036983296_nIn generale si può affermare che i suoi soggetti - fiori, volti di persone e animali, scene di vita con baci e abbracci, momenti particolari di quotidianità spensierata o contenuti immaginativi - appaiono di una liricità assoluta, alieni da sottintesi simbolici e toni squillanti. Eppure questa pittura precisa, senza sbavature, attenta alle velature, alle tinte cromatiche e alla pianezza delle forme, sembra caricarsi di memorie, di valori poetici del reale, di gioiose atmosfere affettive ed echi ricchi di sentimenti. Tutto questo sembra provenire, più che dalla sfera psicofisica, dal cuore, dalla profondità interiore, intensa ed emotiva dell’autrice.

Di recente, Grazia Motetta ha esposto in una collettiva nell’antica serra di Villa Castelli a Masera e con una personale a Domodossola all’Art’ARCH, in via Madonna della Neve, in cui ha proposto “Volti”. In quest’ultima mostra (presentata dalla professor74398556_10221518792098021_124729260479873024_nessa e storica dell’arte Silvana Pirazzi), Grazia si è rivelata un’interprete talentuosa della figura umana: in particolare, nei “ritratti”, in cui dimostra di essere un’acuta osservatrice delle molteplici e singolari situazioni che scandiscono la vita delle persone. Nei suoi delicati lavori, lo studio dello spazio e la collocazione centrale del volto dei diversi personaggi, in particolare dei bambini, sono ben combinati e nei loro occhi brilla spesso la luce di un sorriso. Sensibilità, delicatezza, percezione ed emozione, ricerca tra l’io intimistico e le fattezze visive interpretate, sono un tutt’uno nello sguardo finale d’insieme dell’opera. Le creature ritratte comunicano generalmente positività, sensazioni e pensieri solari; in qualche caso le loro espressioni possono manifestare insoddisfazioni e contrasti con la realtà; altre volte sembrano come sospese in chissà quali ricordi o sogni. Fatto sta che, comunque, ognuno di questi ritratti s’impone immediatamente per la finezza e l’abilità esecutiva.

76726992_10221518791057995_1609450650993688576_nGrazia Motetta è nata nel 1959 a Domodossola, dove vive e svolge la propria attività professionale in campo riabilitativo infantile. È stata iscritta al “Gruppo Quantarte” di Domodossola. Il suo stile ha subito nel tempo alcuni cambiamenti, perché come lei stessa afferma: <<La mia indole mi ha sempre spinto a sperimentare in continuazione: dall’iperrealismo all’impressionismo, fino a un mix di queste ricerche con la pop-art>> e conclude, <<i miei contenuti, colori, messaggi, sono cambiati nel corso degli anni e testimoniano un percorso interiore importante per me. Libertà, creatività, curiosità, sono i miei stimoli principali. I soggetti che prediligo? I volti. Che programma ho per il futuro? Continuare a dipingere e creare>>.

Giuseppe Possa

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Nel Pulviscolo dell'Universo (di Giuseppe Possa)

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Nel pulviscolo dell'universo

(di ©Giuseppe Possa©)

Il vento improvviso mulina tra i larici

e diffonde arcani rumori.

M’inebria quest’aria di ginepri,

qui, dove il tempo e lo spazio

sono ancora il mio infinito.

Nel pulviscolo dell’universo,

mentre il giorno s’abbraccia alla notte,

le stelle che da tempo non guardavo

brillano sempre innumerevoli.

Ma muta è ora la mia valle:

il suo silenzio sgretola le baite

gli alpeggi abbandonati

i sentieri di pietrame.

(© Giuseppe Possa ©)

La poesia, che qui è riportata solo nella parte centrale (il cuore),  ma che sotto trovate completa, col titolo originale, l’ho scritta nei primi anni Settanta ed era finita dimenticata tra altre carte in un cassetto. Mai pubblicata, perché in quegli anni "rivoluzionari" (si fa per dire... visti i risultati!!!), ci si sentiva imbarazzati a dare alle stampe versi di questo genere, intimisti e privi di "impegno sociale" (così pensavo anch'io, allora... e lo penso tuttora). Ritrovata verso il 2009, l'ho trascritta sul computer e nel 2014 l’ho inviata al premio "Andrea Testore - Plinio Martini - SALVIAMO LA MONTAGNA", Carvegno (Svizzera) Fondazione Valle Bavona. Vinse il 1° premio [Giuria: Alessandro Martini (presidente), Benito Mazzi, Teresio Valsesia, Paolo Crosa Lenz, Patrizia Testore, Matteo Ferrari, Tiziano Ferraris, Vasco Gamboni, Giorgio Cheda].

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MUTA È ORA LA MIA VALLE

di

Giuseppe Possa

 

Dalla città – caotica metamorfosi –

torno tra le mie montagne,

dove un tempo s’udivano

suoni di campanacci

e faticavano in silenzio

con sudore antico, i nostri avi.

Il vento improvviso mulina tra i larici

e diffonde arcani rumori.

M’inebria quest’aria di ginepri,

qui, dove il tempo e lo spazio

sono ancora il mio infinito.

Nel pulviscolo dell’universo,

mentre il giorno s’abbraccia alla notte,

le stelle che da tempo non guardavo

brillano sempre innumerevoli.

Ma muta è ora la mia valle:

il suo silenzio sgretola le baite

gli alpeggi abbandonati

i sentieri di pietrame.

Non più un muggire di giovenche

nelle stalle e dietro le rovine

i risorti fantasmi del passato

vagano nella notte, senza pace,

chiamandoci nei secoli per nome.

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https://www.youtube.com/watch?v=zMXhhArsbCE

<<A Pulviscolo/  poeta/ non minuscolo/ allieta/  le sere solitarie/ sognando arie/ che sanno di montagna / dove il cuore accompagna/ Alegar e Grazia>> (Raffaele Fattalini, professore emerito, scrittore e studioso ossolano,  così scrisse, invitandomi a concentrare “il pulviscolo dell’universo” nel “cuore” della lirica!)

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Antonio Lista, Raffaele Fattalini, Giuseppe Possa, Giorgio Quaglia

Val Bognanco panoramica - Foto Studio RDS

Vittoria Palazzolo: Volti e figure femminili nel “pianeta donna”.

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Intervista a Vittoria Palazzolo, nata a Torino nel 1965, vive e lavora a Vogogna (VB). Il suo percorso artistico inizia all'età di 13 anni. Dopo il liceo Artistico frequenta lo studio di Cleo Zanello (allievo di Casorati). Attualmente, sta operando a un interessante ciclo, “Il pianeta delle donne” e “Il risveglio”. Selezionata per Expo 2020 a Dubai, esporrà nella mostra curata da Giammarco Puntelli per l'occasione.

La scelta espressionista figurativa, in un’atmosfera astratta, di Vittoria Palazzolo, è unaomaggio-a-lili-elbe-60x80-acrilici-su-tela forma estremamente solare, graffiata da segni e simboli riconducibili all’artista, che scompone, riduce o taglia il disegno con screziature vagamente siderali, nell’iconografia e nelle scelte cromatiche. Entro questi spazi cosmici appaiono figure femminili, con donne incinte che fluttuano, in un alone mistico, nel travaglio di mondi interplanetari o volutamente e simbolicamente rappresentate senza capo, perché ormai si ragiona solo con la testa, mentre l’artista si auspica un’epoca in cui si ragionerà con il cuore. Il fascino dei soggetti è marcato con il corpo delle figure trattato quasi come un manichino, descritto nella sua dimensione come fosse un oggetto.

Da qui la scelta di colori forti, vivaci e stranianti, in sintesi geometriche o in grovigli e striature che focalizzano l’interesse non sul fenomeno, né sull’immensità reale, ma sull’essenza e sul mistero dell’energia nell’universo. Da qualche tempo, l’artista, mantenendo uno stile del tutto autonomo, sta lavorando sui volti di celebrità femminili, dell’arte ma non solo, ritratte non tanto nelle fattezze fisiognomiche dei visi, ma contraddistinte da una spiritualità universale e dal loro intimo, da cui traspaiono emozioni umane ma sublimate.

la-fine-e`-linizio-copiaCon trent’anni di esperienze personali, dopo il liceo artistico e una decennale frequentazione dello studio di un maestro eccelso come Cleo Zanello (allievo di Casorati), Vittoria Palazzolo, di origine torinese, che opera a Vogogna, dove vive col marito e il figlio, ha esposto in personali e collettive nazionali e internazionali e ha raggiunto uno stile personale ed elegante, vicino a un espressionismo astratto, non esente da accenni incisivi e formali, con cui riesce a far trasparire emozioni e sentimenti dell’animo. Ha ottenuto premi e riconoscimenti; di lei si sono interessati ed hanno scritto critici di fama, tra essi Vittorio Sgarbi, Giammarco Puntelli, Gianluca Caldana, Danila Tassinari e altri.

Concluso un personale progetto sul pensiero filosofico di come Giordano Bruno interpretasse l’Universo e la magia, Vittoria sta operando a un interessante ciclo: “Il pianeta delle donne” e “Il risveglio”.

Vittoria, Come e quando hai iniziato a dipingere.

<<Ho incominciato molto presto, fin da piccola ero affascinata dai profumi delle matite colorate e dei pastelli. La scintilla è scattata dentro di me quando vidi per la prima volta un dipinto di Picasso nel mio libro di Arte>>.

I tuoi studi, i tuoi “maestri”?

<<Ho frequentato il Liceo Artistico a Torino, ma la mia fortuna è stata quella di aver incontrato il mio maestro Cleo Zanello che a sua volta è stato allievo del grande Felice Casorati.  Sono stata sua allieva per 10 anni e grazie ai suoi consigli sono riuscita a creare un mio segno pittorico>>.

Quali sono stati i tuoi cicli pittorici?

Omaggio-a-Guadalupe-Marin-60x80acrilici-su-tea<<I miei periodi pittorici sono stati vari: ho iniziato dipingendo paesaggi, nature morte, figure. Ma la mia passione per il cosmo infinito mi ha portato a creare dei cicli che considero un tutt’uno con il percorso “diagnostico universale”. Indico gli ultimi cicli più importanti: “La nuova era” (2015); “Lo sguardo dell’anima” (2016); “Il pensiero filosofico di come Giordano Bruno rappresentava l’universo e la magia” (2018); “Souls” (2019), “Il pianeta delle donne” e “Il risveglio” (2019-2020)>>.

Quali incontri hanno influito nel tuo percorso artistico?

<<Oltre ad aver frequentato lo studio del mio Maestro, è l’incontro col Prof. Giammarco Puntelli che mi ha permesso di crescere e maturare nell’ambito artistico>>.

Parla della tua ultima ricerca?

<<La mia attuale ricerca è: “Il pianeta delle donne - il risveglio”, legata a contenuti che racchiudono un pensiero molto profondo, col quale voglio far risaltare la scienza che incontra la spiritualità delle donne che con la loro storia, partendo da Lilith, Artemide, Demetra, fino ad arrivare a Margherita Hack. Cerco di esaltarne la semplicità nell’esporre la loro forza ed energia intellettuale e spirituale>>.

Che importanza dai ai tuoi volti di donna sulla scena artistica contemporanea, sia a livello nazionale e internazionale?

<<L’importanza artistica dei miei volti nasce dallo sguardo profondo che possiedono, in cui io cerco di far esaltare il loro potenziale artistico>>.

Come nasce un tuo quadro?

80x120-attrazione-universale-acrilici-su-tela-<<I miei quadri oggi nascono con dei progetti ben definiti e soprattutto di ricerca continua; raccontano i miei mondi e universi interiori.>>.

In generale, che impressione cerchi di suscitare in chi osserva i tuoi dipinti?

<<Le sensazioni che voglio suscitare sono soprattutto emozionali. La mia pittura esprime quello che provo e sento dentro ed esprime positività, gioia e amore per la vita, per la gente>>.

Che legame c’è tra la pittura del passato e la tua?

<<Quel filo conduttore che ti trascina nel pensiero dei grandi maestri>>.

Nelle tue opere concorrono figurazione e astrazione. Dove finisce una e inizia l’altra?

<<Nella mia pittura non c’è un inizio e non c’è una fine. Uso un mio stile personale e le mie opere sono create in uno stato di trance o meglio in una fase d’estasi assoluta>>.

Si può vivere di sola arte o occorre integrarla con altre professioni?

<<Sicuramente oggi si può vivere solo di arte; bisogna, però, stare attenti a non farsi condizionare e cambiare il proprio modo di dipingere per vendere di più>>.

Parla delle mostre più importanti, degli incontri più significativi, delle soddisfazioni pittoriche e degli apprezzamenti ricevuti.

le-due-porte-colui-che-varca-in-spirito-entra-nelleternita`-150x100-acrilici-su-tela<<Le Mostre più importanti  e i premi sicuramente sono stati: Premio Internazionale Comunicare l’Europa 2016, Camera dei Deputati, Roma; Impronte tracce segni linguaggi, Casa Museo Spazio Tadini, Milano; Il labirinto dell’ipnotista, Palazzo Gallio, Gravedona (CO), evento ideato e curato da Giammarco Puntelli; Spoleto Arte, a cura di Vittorio Sgarbi, Spoleto; L’Eternità nell’arte, evento del Giubileo della Misericordia, presso la Basilica dei Santi Quattro Coronati, a Roma, direzione artistica di Giammarco Puntelli. Sempre nel 2016 ho ricevuto il Premio come miglior Artista a Palazzo Cerere, Roma curata da Daniele Radini Tedeschi Marco Grilli. Personale Antologica opere da 1992 /2017 nel Palazzo Ducale di Sabbioneta, alla Galleria Pall Mall di Londra, alla Naive e Sebastian Art Gallery di Dubrovnik.  Vinci, Berlino “SOULS”>>.

Qual è il senso di fare pittura oggi, secondo te?

<<Il senso di fare pittura oggi, per quanto mi riguarda, è “guardare al di là di quello che vedi realmente”>>

Cosa stai preparando per il futuro?

<<Parteciperò a Expo 2020 Dubai; Allestirò una Personale de “Il pianeta delle donne - il risveglio” e sarò presente a “Mediterraneo”, una mostra internazionale, organizzata dal Prof. Giammarco Puntelli>>.

Da anni ormai il tuo nome appare sul CAM (Catalogo dell’Arte Moderna), Carlo Motta, il responsabile editoriale e il curatore Giovanni Faccenda ti tengono in grande considerazione, tant’è che quest’anno ti hanno dedicato la seconda di copertina: quanto ritieni importante questo riconoscimento e quali soddisfazioni ti porta a livello pittorico?  

<<Ne sono onorata in quanto sono delle persone molto competenti e mi motivano ad andare sempre più avanti, per la mia ricerca pittorica senza dimenticare il mio obiettivo>>.

Giuseppe Possa

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G. Possa, C. Motta, V. Palazzolo, G. Faccenda

Tra le partecipazioni di Vittoria Palazzolo si ricordano: nel 2016: Premio Internazionale Comunicare l’Europa 2016, Camera dei Deputati, Roma; Impronte tracce segni linguaggi, Casa Museo Spazio Tadini, Milano; Il labirinto dell’ipnotista, Palazzo Gallio, Gravedona100x100-il-risveglio-acrilici-su-tela-e-fuoco (CO), evento ideato e curato da Giammarco Puntelli; Spoleto Arte, a cura di Vittorio Sgarbi, Spoleto; L’Eternità nell’arte, evento del Giubileo della Misericordia, presso la Basilica dei Santi Quattro Coronati, a Roma, direzione artistica di Giammarco Puntelli. Sempre nel 2016 ha ricevuto il Premio Miglior Artista, a Palazzo Cerere, Roma, curata da Marco Grilli e Daniele Radini Tedeschi. Nel 2017 ha partecipato alla Master Class di Infinity con mostre nel Palazzo Ducale di Sabbioneta, alla Galleria Pall Mall di Londra, alla Naive e Sebastian Art Gallery di Dubrovnik. Nel 2018 sue opere sono state selezionate per le direzioni artistiche Genius. Il codice della mente incontra l’Arte e Pace e Amore. Il suo lavoro è oggetto di varie pubblicazioni: Catalogo dell’Arte Moderna - Gli artisti italiani dal primo Novecento ad oggi - dell’Editoriale Giorgio Mondadori (n. 51, n. 52, n. 53, n. 54, n. 55) e le collane: Le Scelte di Puntelli e Profili d’Artista sempre editi dalla Giorgio Mondadori.

 

31531036_2069430413337775_596644470074638336_o<<Contempla un orizzonte messianico, nell’attesa di una nuova età dell’oro in cui amore e generosità di spirito trionferanno, l’arte solare e sintetica di Vittoria Palazzolo, nella quale ritratti ideali di artiste celebri, paladine di una liberazione espressiva non certo meno importante di quella civile, si alternano senza contraddizione a studi di nudo e di figura, sempre al femminile, ancora più condensati nell’essenzialità del tratto e nell’esuberanza informale del colore, preludi alla produzione totalmente astratta, la più libera e ispirata, con richiami a Klee, Frankenthaler, Wols>> VITTORIO SGARBI

<<Vittoria Palazzolo, pittrice di grande talento, possiamo condurre dunque, negli spazi suggestivi del Palazzo di Vespasiano, un viaggio in una pittura svolta sul crinale di un raffinato espressionismo astratto, non esente da accenni incisivi e formali, con cui la pittrice riesce a far emergere emozioni e sentimenti dell’animo. Elemento caratteristico della sua pittura è infatti il movimento nella dinamica dei flussi cromatici e nella descrizione di cosmi che vibrano e pulsano nella circolarità armonica e nelle poetiche luci 52057124_10214725200916093_1432036925069328384_ndell’infinito. Riteniamo che tutti i visitatori resteranno positivamente coinvolti e intimamente sbalorditi dalla forte carica espressiva dei suo colori tra cui dominavano il rosso e il blu, trattati con tale intensità da apparire fluidi organici. E molti si troveranno di fronte alla scoperta di emozioni che si materializzano, nella fisicità della pittura, per svelare l’agitazione del sangue e la tempesta dei sentimenti. Si può dunque considerare questa antologica un’occasione di interesse particolarissimo, in cui, tra la scoperta di opere note e di altre mai viste prima, si può comprendere ed esplorare, nelle più diverse e originali angolazioni, il complesso rapporto tra l’artista e il suo sentire, nell’intensità delle sue riflessioni personali e culturali. E che cos’è tutto questo se non energia e nutrimento per l’anima>> GIAMMARCO PUNTELLI

La Bottega dell’Arte di Michela Mirici Cappa

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Gestita da Michela Mirici Cappa (architetto, pittrice, insegnante) è una scuola di Arte e Artigianato. Ecco gli attuali Corsi e laboratori tenuti, a Gravellona Toce (VB) in corso Roma 55/57, da docenti preparati: disegno (Michela Mirici Cappa), disegno a punta d’argento (Peter Ratti), pittura a olio (Michela Mirici Cappa), acquerello (Claudio Gattellaro), fotografia digitale (Michele Frasca), ceramica (Michela Maruzzi), realizzazione inchiostri con tecniche antiche e materiali naturali (Peter Ratti), restauro del mobile antico (Peter Ratti), micropittura su oggettistica in legno (Giusy Romano), cake design (Samantha Faraglia). Iscrizioni sempre aperte - Info 338 8161400

Da alcuni anni Michela Mirici Cappa gestisce questa Bottega d’Arte con grande passione e 58379302_422176675213431_2829069398524821504_oprofessionalità, dove si tengono corsi e laboratori di arte, per adulti, ragazzi e bambini. In questi ultimi periodi, in occasioni particolari, lo spazio diventa anche espositivo o a disposizione per proposte diverse interessanti [per esempio, a novembre si sono svolti due incontri dal titolo “Il mondo dorato delle cornici” (tenuti dal restauratore verbanese Peter Ratti), a marzo è in programma una serata dal titolo “La sezione aurea, espressione aritmetica della bellezza” (a cura dell’artista Alessandro Giozza); a maggio si parlerà de “Il mondo dell’arte” (con il maestro Gilberto Carpo)]. Il VCO si arricchisce così di un luogo nuovo e particolare per fare cultura. Michela, oltre ad essere impegnata con la Bottega dell’Arte di Gravellona Toce, continua a insegnare disegno e pittura ai corsi UNI3 del Comune di Omegna, proseguendo l’attività del maestro Gilberto Carpo, che ne è stato titolare per una quarantina d’anni, prima di decidere di ritirarsi dall’insegnamento.

Chiunque si cimenti con qualsiasi disciplina artistica è spinto da un "bisogno interiore" inarrestabile, non confinabile in alcun limite temporale: da questa considerazione è nata l’idea di Michela di creare un luogo dove sia possibile esercitare la propria creatività in modo pressoché continuativo, durante tutto l'arco dell'anno, attraverso la partecipazione a corsi e a eventi artistico-culturali. 

Innanzi tutto, però, chi è Michela Mirici Cappa? È lei stessa a informarci:

<< Sono nata a Premosello Chiovenda (VB) nel 1969. Dopo aver conseguito la maturità 59390867_431248414306257_5306670194309988352_nscientifica, e assecondando un'innata passione per il disegno accompagnata da doti artistico-creative, mi sono laureata in architettura al Politecnico di Milano. Vivo da sempre a Omegna (VB), dove mi sono sposata, ho un figlio, ed esercito la professione di architetto libero professionista. Nel 1997 ho pubblicato il libro “Ambiente e sistema edilizio negli insediamenti walser di Alagna Valsesia, Macugnaga e Formazza” (Quaderni di cultura alpina - n. 55 - Priuli & Verlucca editori, Ivrea), riccamente corredato da disegni e rilievi eseguiti a china. Nel 2001 ho compiuto un viaggio di studio e ricerca nella porzione svedese dell’artico europeo, finalizzato alla redazione di documentazione fotografica e tavole grafiche a corredo del libro “La casa saami. Antropologia dello spazio domestico in Lapponia” (G. Ligi, Il Segnalibro Editore, Torino – 2003)>>.

Parlaci ora, invece, della tua passione: la pittura. Come hai iniziato?

<<Ho cominciato a frequentare un corso di pittura nel 2003, diventando così allieva del pittore omegnese Gilberto Carpo. Grazie alle lezioni del maestro, ai suoi consigli e agli apprendimenti tecnici, gradualmente ho trovato la strada per esprimermi creativamente, elaborando un personale linguaggio ed espressione artistica. Dopo qualche anno ho cominciato a esporre in Italia e all’estero mie opere pittoriche, ottenendo ampi consensi dal pubblico e dalla Critica professionale>>.

E da quando hai sostituito il tuo maestro nell’insegnamento?

78200899_562773794487051_5377817152201949184_o<<A partire dal 2014, quando Gilberto Carpo, si è ritirato dall’insegnamento, nella conduzione della scuola di pittura. Sia nei corsi che tengo a Omegna, sia in quelli di Gravellona, faccio sempre riferimento al grande insegnamento ricevuto dal mio caro maestro. Le sue lezioni erano davvero uniche: oltre a nozioni tecniche, ci rendeva partecipi di quello che è stato (ed è tutt’ora) il suo vissuto, rapportandolo sempre con le esperienze artistiche, attraverso interessanti aneddoti e narrazioni. Ora tutto ciò il grande maestro lo ha raccolto e inserito in un’autobiografia che sarà pubblicata in primavera, dalle Edizioni Mnàmon di Milano. Ne aveva di cose da raccontare: eventi d’arte, incontri con artisti e critici, nozioni pittoriche, avventure varie e disavventure esistenziali. Tutti ricordi che noi allievi già conosciamo, ma che ora saranno messe a disposizione del pubblico, degli amici, dei conoscenti, ma soprattutto dei molti collezionisti>>.

E poi, la scuola è proseguita: parlaci un po’ anche degli eventi che hai organizzato con gli allievi negli anni successivi.

<<Sempre in quell’anno, insieme a un gruppo di allievi ed ex allievi, sono stata promotrice e 82485166_608652526565844_8005337286147309568_ncoordinatrice dell’iniziativa “Studi d’arte in vetrina”, per la valorizzazione e rivitalizzazione del centro storico di Omegna. Spontaneamente e in modo del tutto naturale, di fronte ad alcuni negozi vuoti, abbandonati a causa della crisi economica, è nata l’idea di usufruire di tali spazi per esporre opere e studi d’arte, ridando dignità a quella visione decadente. Le opere esposte sono state sostituite periodicamente fino all’anno 2016, rimanendo sempre in tema con gli eventi svoltisi nella cittadina, con il proposito di dare un esempio concreto di come l’arte possa diventare partecipe degli eventi civici, in modo da creare quella tanto auspicata interazione tra popolazione, cultura e turismo. L’arte è così andata incontro alle persone, trasformando il centro in uno spazio espositivo permanente e diffuso. Nell’anno 2016 sono stata chiamata a insegnare disegno anche ai corsi organizzati dalla Pro Loco di Gravellona Toce, e nel 2017 mi venne affidato anche il corso di pittura a olio>>.

Quindi hai allargato i tuoi orizzonti ed è proprio a Gravellona che nel 2018 hai aperto “La Bottega dell’Arte”.

<<Proprio così. È lì che, avendo trovato dei locali liberi, mi è venuta l’idea di creare uno spazio concepito come un intreccio di vita e arte, una realtà in cui vengono organizzati eventi espositivi e corsi per imparare a cimentarsi nelle diverse discipline artistico-artigianali e nella quale le persone si sentono a proprio agio nel creare e nel rapporto e confronto con gli altri>>.

A proposito, perché “bottega”?

<<La bottega ha sempre rappresentato un luogo fondamentale per la produzione artistica: per essere avviati alle discipline artistiche tra Quattrocento e Cinquecento non c’era una scuola, ma si andava appunto “a bottega”, divenuta per molto tempo il centro principale della vita artistica cittadina. Spesso però queste botteghe offrivano una formazione più vasta, che comprendeva oltre a pittura, scultura, architettura e altro. Era praticamente un percorso obbligato per un giovane artista inesperto ed è sempre stato il percorso che tutti i grandi artisti hanno compiuto per imparare il mestiere>>.

Quindi, ricca di questa esperienza artistico-culturale - anche da te seguita sul campo e non in un’accademia - hai pensato bene di applicare un simile percorso pure per gli appassionati di arte e artigianato del nostro territorio.

IMG_20191114_180737<<Certo, ho compreso immediatamente l’esigenza di un punto di riferimento costante. Arte e Artigianato, discipline da scoprire o riscoprire nell’epoca in cui si è dominati dalla tecnologia: manualità, creatività, tradizione ma anche innovazione e sperimentazione. Chiunque si cimenti con qualsiasi disciplina artistica è spinto da un "bisogno interiore" inarrestabile, non confinabile in alcun limite temporale. Creatività e capacità di espressione costituiscono infatti per ogni individuo una fonte di benessere interiore e di crescita. Per questo motivo ho ritenuto necessario creare un luogo che costituisca un punto di riferimento costante per chiunque voglia esercitare la propria creatività e migliorare la propria formazione artistica e personale>>. 

La Bottega dell’Arte, pertanto, è stata concepita quale luogo di aggregazione e partecipazione o sbaglio?  

83392067_612896409474789_6644181842746408960_o<<La Bottega dell’Arte si propone proprio e soprattutto - oltre ai corsi creativi, tenuti da insegnanti esperti, workshops, mostre, esposizioni - quale luogo in cui si mette in opera la riscoperta di tecniche antiche utilizzate dai più grandi artisti del passato, come il disegno a punta d’argento e quello a punta di piombo, in uso prima dell’invenzione delle matite o della grafite, nonché le diverse tecniche per la realizzazione degli inchiostri naturali. E tanto altro ancora, insomma tutto ciò che può soddisfare e accrescere ogni interesse in campo artistico>>.

Per concludere e sintetizzare, su cos’è basata l’attività principale della Bottega?

<<L’attività principale della Bottega è basata sulla proposta e realizzazione di corsi artistico-creativi. Per ciascun corso è previsto un numero massimo di iscritti a ogni "pacchetto di lezioni"… che noi definiamo "turno". Esauriti i posti disponibili in ciascun turno, l'iscrizione slitterà a quello successivo. A questi corsi iniziali presto se ne aggiungeranno altri: la nostra Bottega è infatti caratterizzata da una struttura organizzativa fortemente dinamica, pronta a valutare e ad accogliere ogni proposta o richiesta che ci verrà inoltrata. Le iscrizioni ai corsi sono sempre aperte a tutti, indifferentemente dal fatto che si abbia già frequentato o meno il turno precedente>>.

(intervista a Michela Mirici Cappa a cura di Giuseppe Possa)

80031575_582838942480536_6963484937190113280_n M. Mirici Cappa e G. Possa

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https://www.facebook.com/La-Bottega-dellArte-Gravellona-Toce-316242059140227

Carlo Pessina: 50 anni di calendari fotografici

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Sono esposti fino a Pasqua all’Ossola Outdoor Center della NovaCoop a Bisate di Crevoladossola

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C. Pessina, E. Rizzi, M. Di Martino

Sarà visitabile gratuitamente, fino al lunedì di Pasqua, la mostra di Carlo Pessina, inaugurata mercoledì 18 febbraio al primo piano del centro commerciale Ossola Outdoor Center della NovaCoop a Crevoladossola. Cinquant’anni di calendari in cui sono immortalate le più belle immagini del fotografo ossolano, che permette così ai fruitori di percorrere un viaggio a ritroso nel tempo, rievocando i paesaggi e i luoghi suggestivi del Verbano Cusio Ossola: “Molti oggi non sono più così, altri si sono trasformati, ma rivederli in queste immagini com’erano o come si sono trasformati sarà un grande patrimonio per il nostro territorio”, come ha ben sintetizzato lo studioso e storico Enrico Rizzi, durante la presentazione. Dopo il saluto dello stesso Pessina, è toccato a Monica Di Martino, dirigente di NovaCoop, coordinare l’importante evento che mette in luce, con la sua continua presenza culturale, quanto sia radicata anche da noi questa importante azienda di distribuzione, e a invitare il pubblico a visitare l’esposizione, cercando magari il proprio anno di nascita, una data del cuore o un luogo preferito.

86726352_10222574712655375_8818962275655221248_nTutti i calendari, di alta qualità e professionalità, di Pessina, in cui si può notare le molte aziende del Piemonte e non solo che li hanno scelti per comunicare con i propri clienti, raccolgono ambienti, arte e tradizioni, le nostre bellezze ed eccellenze: i laghi con le loro isole, le zone novaresi, le vallate ossolane, le manifestazioni e i prodotti della zona. Cinquant’anni di storia locale, ma anche di vita artistica di Pessina, che attraverso un archivio immenso di scatti, a partire dagli anni Sessanta, è ormai una “memoria storica” della provincia, per tutti quei giovani che ancora non erano nati in quel periodo e soprattutto per le future generazioni.

Praticamente, in tutte queste pubblicazioni, gli scatti appaiono come autentiche opere tra arte e poesia, proponendo negli anni, visioni, soggetti, colori, sempre diversi. Le istantanee sono state prese da terra o dall’alto, nelle quattro stagioni, ognuna con le proprie cromie e le proprie atmosfere da un maestro della fotografia e, infatti, i calendari possono anche essere considerati da “collezione”.

IMG_E2309Tra i calendari di Carlo Pessina, appesi in questo 2020 nelle molte case e uffici di aziende ed enti, voglio accennare a due in particolare: quello della ditta di trasporti Comazzi, presente sul territorio delle province del VCO e di Novara, e quello della Domo Graniti, una società domese specializzata nell’estrazione e commercializzazione di blocchi e lastre di serizzo. Le due pubblicazioni, professionalmente di alta qualità, si distinguono proprio per le immagini, che non sono prese a caso tra le miriadi che Carlo ha realizzato in questi ultimi anni, ma con un progetto preciso, in cui un tema peculiare è colto in ambienti, paesaggi oIMG_E2310 tradizioni, che ben s’intonano con i mesi e le stagioni. Inoltre, rendono un buon servizio pubblicitario per le loro aziende impegnate produttivamente nel territorio e danno la misura artistica dei lavori di Pessina, che una cinquantina di anni fa, fu il primo a dare alle stampe calendari inneggianti alle bellezze panoramiche dell’Ossola, quando nelle nostre valli giungevano solo quelli raffiguranti grandi città. L’autore ricorda che i primi tempi la Banca Popolare di Novara stampava 220.000 di questi suoi lavori, che erano diffusi in tutta Italia, con immagini del Monte Rosa, della Cascate del Toce, del Castello di Vogogna, della piazza Mercato di Domodossola o dell’Alpe Veglia, del Devero, del Sempione e di tante altre località caratteristiche ossolane.

Giuseppe Possa



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Carlo Pessina e Giuseppe Possa (foto di Michele Frasca)

Il fotografo Carlo Pessina è nato a Domodossola nel 1939, dove risiede e opera dal 1955. Nel corso degli anni ha creato un archivio immenso di immagini in bianco-nero, a colori e poi in digitale. Ha collaborato a riviste, giornali, Enti ed agenzie fotografiche; ha ottenuto prestigiosi premi e riconoscimenti. Pessina, inoltre, per dare maggiore impulso e professionalità, con riprese più incisive e uniche, alla sua arte fotografica, nel 1972 ha conseguito il brevetto di pilota Aviazione Italiana.

Mostra di Giulio Adobati a La Fabbrica di Villadossola dal 21 al 31 marzo

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VILLADOSSO10294393_634769199936178_4656888531123407371_nLA - La mostra personale di Giulio Adobati a La Fabbrica di Villadossola, con apertura alle ore 17 di sabato 21 marzo, comprenderà opere dipinte tra il 2005 e il 2020. L’artista, abbandonata la città, è tornato nella sua Valle Anzasca, trovando, a contatto con la natura, una nuova dimensione, ma proseguendo, con sensibilità e rinnovata visione del mondo, la sua variegata produzione, che ora definisce “enigmig art”. Di fronte agli impellenti problemi economici ed ecologici, alla decadenza dei valori umani, allo spopolamento della montagna e non solo, egli raffigura una società multietnica, dove uomini, donne e animali siano strettamente e pacificamente collegati.

Ecco allora, in esposizione fino al 31 marzo (nei seguenti orari: dal lunedì al venerdì ore 17-19 e 21-23; sabato e domenica anche 10-12), quadri tra il realismo e un geometrico segmentato, molto personale, in cui sono raffigurati paesaggi inventati e interpretati in maniera fantasiosa; figure umane, principalmente femminili; oggetti proposti come protagonisti o nature silenti; interni di metropolitane; composizioni omaggio ai grandi maestri. Appaiono pure scene di vita con critiche al sistema sociale,Giulio Adobati - foto con quadro politico, religioso, dove sono rappresentate situazioni proletarie o con personaggi stravaganti, simili a zombi assoggettati al potere, alle multinazionali o come robot telecomandati da oscure forze del male. Non mancano nemmeno tele che propongono visioni di un surrealismo cosmico, dove spaziano presunti alieni o extraterrestri inseriti in quadri rievocanti civiltà passate, come quelle dei Maya o dell’antico Egitto. “I miei quadri” asserisce l’artista, “sono come la bella copertina di un libro, ma non il suo contenuto”. Faranno capolino qua e là, in questa antologica, anche alcune sculture in legno o in marmo, con tagli che conferiscono una dimensione metafisica alle figure, giocate di contrasto tra realtà e immaginazione.

Giulio Adobati è nato a Domodossola nel 1963. Da ragazzo ha frequentato il maestro Carlo Bossone, da cui ha ricevuto importanti insegnamenti e consigli. Attivo dalla fine degli anni Settanta, ha esposto un po’ ovunque, ottenendo riconoscimenti e premi importanti. Ha collaborato con lo scultore Giancarlo Sangregorio. Di lui hanno scritto Vittorio Sgarbi, Marco Rosci, Paolo Levi e altri critici. È apparso su giornali, riviste e cataloghi vari. Docente di pittura all’Università Uni3 di Domodossola e di Ornavasso, tiene anche corsi privati.

Giuseppe Possa

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G. Adobati e G. Possa
(articolo pubblicato anche su Eco Risveglio del VCO)

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Poesia di Giorgio Quaglia

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La 'manna' del  Coronavirus

'Danza' la Morte tricolore

con televisivo terrore, *

in sguardi e pensieri

impregnati di sudditanza.

Già tenui barlumi di libertà

sono spenti per offuscare

il senso reale del disastro

che sventra l'economia

e uccide lo spirito sociale.

Così, mentre la conta mortale

e anonima d'un vicino passato,

relegata resta al dolore di pochi

(specchio dello stesso domani),

nel surreale e muto frangente,

a garantire loro la piena immunità

per tanti odierni e futuri misfatti,

scende sui governanti del Mondo

la 'manna' vitale del Coronavirus.

 

Giorgio Quaglia

21 Marzo 2020


* PS (storico): <<Dagli ultimi cinquant'anni, mai come oggi è apparso e apparirà sempre di più in modo così lampante e semplice quanto la super struttura dell'in-formazione domini senza scampo la vita di milioni di persone>>.


Io e te Giuseppe moriremo, ma non stupidi e neppure stupiti

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(a proposito di coronavirus)

Caro Giuseppe, amico mio,

ho deciso di scriverti per un atto di vera solidarietà e per una certa insofferenza. Volevo innanzitutto dirti quanto sia vano il tuo tentativo di queste settimane teso a far capire alla ‘massa’ (anche dei tuoi contatti) - con la solita ironia e non senza gentili formalismi - che cosa sia successo in Italia e che cosa ci abbiano fatto, come singoli e come popolo (anche io ci ho provato, dopo anni di silenzio, con una poesiuola:

https://pqlascintilla.wordpress.com/2020/03/24/una-poesia-di-giorgio-quaglia

ma solo come sfogo personale). Il disastro che hanno voluto innescare - per premeditazione, incapacità o cos'altro non importa - di fronte a un fenomeno del tutto naturale, non ha precedenti nella storia italiana (poi anche mondiale) e una tale forma di coercizione non è stata neppure comune durante i regimi fascisti e nazisti (per gli estimatori della pura libertà, aggiungiamoci pure quelli stalinisti o comunisti in generale; per inciso l’evocata ‘dittatura’ cinese capitalcomunista, non si è certo permessa di bloccare e segregare l'intero paese, ma solo una regione paragonabile per noi alla Lombardia). Quando dico "hanno voluto" alludo ovvio all'intera classe politica, la stessa che ora comincia a distinguersi in partiti o gruppi (destra, sinistra, centro) nelle polemiche su quanto e come andava o non andava fatto, ma che era rimasta tutta silente e consenziente all'inizio. Alludo anche a tutte le varie organizzazioni, corporazioni e associazioni (ce ne sono a centinaia) che vivono e a volte stra-vivono con tesseramenti e sovvenzioni: anche loro muti come pesci.

Poi, visto che oggi è il 25 aprile, vogliamo forse dimenticarci dell'ANPI e ricordare invece loro che non potrebbero più rappresentare i Partigiani essendo rimasti impassibili di fronte alla Costituzione calpestata e alla creazione (non importa se ‘provvisoria’) di un vero e proprio Stato di Polizia (dove i ‘poliziotti’ sono diventati anche sindaci e governatori con droni ed elicotteri)? In quanto al ‘fenomeno naturale’, ossia la presenza o meno di virus, è il caso di far presente - anche a chi ha voluto e vuole affidarsi alla fede e alla preghiera, enfatizzandone i simboli - che gli stessi esistono da miliardi di anni (non duemila!) e che esisteranno fra altri miliardi quando noi, esseri insignificanti e inutili rispetto all'Universo e in fondo ‘ospiti’ loro come corpo cellulare, di certo non ci saremo più. S’è detto però che uccidono, che mettono in pericolo la ‘salute pubblica’ (appunto il pretesto per innescare il pandemonio di questi mesi). Mentire, sapendo di farlo, è una prerogativa soltanto umana (di cui si è specializzato il potere politico e mediatico): solo attraverso questo e solo attraverso il terrore televisivo e giornalistico hanno potuto spazzare via in pochi giorni ciò che è riconducibile in modo diretto alle scelte e comportamenti dell'uomo ‘moderno’, ossia centinaia di migliaia di morti ogni anno per inquinamento, per abuso di alcool e fumo, per cattiva alimentazione, per disparità sociali ed economiche e per lo stesso modo per giunta con cui ci si difende dalle malattie.

Questa massa enorme e anonima di defunti (compresi il bel po' di migliaia per influenza e polmonite ‘normali’), non è un dramma, non ha niente a che vedere con la salute pubblica e non serve a fare uscire gli aspetti peggiori del senso comune (solo per noi Giuseppe?): l'eroismo (questa volta incappato su medici e infermieri), il richiamo alla patria (anche se, per foga di imitazione, abbiamo esportato sbagli e carenze enormi), lo spirito solidale (lo stesso che va poi a ‘farsi benedire’ in presenza di qualche profugo che ti circola vicino casa). Invece il “rispetto”e la “considerazione” per gli sbandierati morti legati al cosiddetto covid-19 (personalizzare il ‘nemico’ fa sempre comodo), oltre il perfido divieto di normali esequie, prevede l'obbligo che siano cremati, così nessuna autopsia potrà mai nel caso stabilire se sia stato il virus a uccidere o viceversa. Lasciamo poi perdere le assurde similitudini alla guerra e all’utilizzo del linguaggio militare, che qualche sventagliata di mitra a palazzo Chigi, Montecitorio o al Quirinale, oppure la caduta di un missile nella piazza di un nostro paese, farebbero svanire all’istante. Il fatto è, caro Giuseppe, che sono ridicoli (e hanno reso ridicolo un intero paese) con le loro inutili mascherine, mentre sputano bavose sentenze retoriche; ma sono e rimangono anche pericolosi e nocivi non solo per la catastrofe economica, sociale, culturale e psicologica che hanno determinato (senza considerare gli innumerevoli decessi in più - altro che in meno! - causati dalla gestione del tutto, anche solo per la paura). Siamo dunque in presenza di una tragicommedia di proporzioni enormi, rispetto alla quale non è possibile ormai fare nulla: quando scatta l'orario legale, l'ora persa in sonno la recuperi soltanto quando ritorna l'ora solare; il tempo e le cose ‘persi’ in questi mesi, non li potremmo recuperare mai più.

Ci consola soltanto, caro Giuseppe, una certezza : se il virus, questo o qualsiasi altro, ci farà ri-fluttuare nel “pulviscolo dell'Universo”, noi non moriremo stupidi e neanche stupiti.

R ESISTIAMO!

Giorgio

25 aprile 2020

UNA NUOVA URBANISTICA? di Giacomo (Gim) Bonzani

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La città attualmente "appestata", tutta percorsa da gerarchie, sorveglianze, controlli, scritturazioni per un'utopia della città perfettamente governata. La "peste"  è la prova nel corso della quale si può definire idealmente l'esercizio del potere disciplinare. "Sorvegliare e punire" (Foucault). Giacomo Gim Bonzani, architetto vigezzino, alla luce delle esperienze di questi mesi, ricorda una proposta, a cui ha aggiunto alcune sue considerazioni, di un celebre architetto che proponeva una vera città ideale con urbanistica, case e appartamenti a misura d'uomo.

concorso PalaItalia Mozzoni (3)
Guglielmo Mozzoni: Concorso Palaltalia[/caption]

Un amico d'infanzia di mio papà, nei primi anni '70, gli disse: <<Chi è quell'operaio che quando va in pensione non ha via almeno 60 milioni in Banca?>>. Mio padre ci rimase un po’, perché una somma simile era ben lontana dalla sua realtà... Ecco, sulla stessa linea vien da chiedersi: <<Chi è quell'Architetto che nella vita non ha progettato almeno una Città Ideale?>>. Certo ci sono Architetti e Architetti, Archistar* o "semplici" degnissimi e competenti professionisti. Il mondo dell'Architettura è indubbiamente uno dei più belli che io conosca. Compendio di discipline, mix di arte, storia, ambiente, restauro, sociologia, tecniche, tecnologie e non ultima l'urbanistica. L'esperienza che si sta vivendo in queste settimane (diventate mesi) dell'abitare in città nelle costruzioni a torre (condomini) pensate per non sottrarre spazio piano al territorio, sta facendo scoprire un livello inimmaginato d'utilizzo: quello di "prigione"; seppur dorata. Negli anni '30 e '40 dello scorso secolo il grattacielo fu uno degli obiettivi dei grandi progettisti. Come pure le grandi case "alveare" negli anni '60.  Eminenti studiosi di Sociologia Urbana e Regionale non credo però ne avessero prevista una funzione così anomala. Grandi costruzioni tecnicamente solide, tecnologicamente "moderne", anche con appartamenti le cui planimetrie erano attentamente studiate per l'ottimizzazione degli spazi. Tutto previsto compreso "lo spazio verde", pubblico, esterno, più o meno vicino, più o meno delimitato.

2011 arch Mozzoni (dx) e Bonzani
G. Bonzani con l'architetto G. Mozzoni 

Lungi da me (piccolo elemento di quella nobile categoria qual è quella degli Architetti) pianificare soluzioni perché la teoria, la fantasia dell'Architetto si mortifica e si annulla spesso contro una montagna di carte, di divieti, pareri, mancanza di fondi e molto altro, non ultima (purtroppo) l'appartenenza politica; ma sognare, almeno quello, è ancora possibile. In pratica, dopo questa pandemia, la ricostruzione non dovrà seguire le orme del secondo dopoguerra, dove (in una Milano per esempio) si elevarono le mura distrutte dai bombardamenti “guadagnando" ulteriori livelli abitativi (sovraccaricando le strutture inferiori). Ricordo uno dei giochi primaverili "poveri" fatti da piccolo: prendere una foglia di castagno e togliere alternativamente un po’ di verde dalla lamina per fare "la piuma degli indiani". Ne risultava una serie pieno-vuoto di verde dal picciolo all'apice. Ecco, quei grossi palazzi con tanti appartamenti per piano dovrebbero predisporsi così. Un appartamento "chiuso" e uno "aperto" affacciato all'aria esterna. Da due/tre farne uno che abbia spazi verdi sull'uscio anche a qualche metro dal suolo. Allora si potrà vivere in quarantena in modo più sopportabile e autonomo. Certo tecnologicamente risulterà complesso il contenimento energetico e molti altri problemi si evidenzieranno. Ma ciò dimezzerebbe il numero di abitanti (che già con la curva demografica attuale non saranno più quelli di 50 anni fa). Utopie? Certo. Ma il bosco verticale di Boeri qualcosa di nuovo ha introdotto, anche se le verifiche delle sollecitazioni sui balconi dei "momenti" dovuti agli alberi in condizioni di forte vento (date le dimensioni) hanno richiesto costose sperimentazioni in gallerie del vento presenti solo negli USA.  Prima ancora dell'ipotesi tecnologica e costruttiva (oggi risolvibile più celermente di ieri) partirebbe lancia in resta in contrapposizione il concetto di proprietà. Chi cederebbe un appartamento o due per favorire il vicino col quale magari sino al fenomeno Pandemia magari ci si salutava appena? E la cosa è speculare e reciproca.

gim città ideale utopia (6) Scorcio di città ideale di G. Bonzani

Quindi ancor prima di una proposta del genere occorrerebbe una drastica soluzione: abbattere l'edificio e ricostruirlo coi criteri anzidetti, oppure concordemente procedere alla riqualificazione e riconversione sempre con nuove attuali tecnologie. Si pensi alla mole di lavoro, al boom di una rinascita edilizia tutta innovativa. Altra Utopia. Se tocchi il costruito i regolamenti, le leggi urbanistiche che hanno concesso una volta di erigerlo, non è detto che concedano ancora gli stessi parametri. È il cane che si morde la coda, ma l'Architetto sarebbe in grado di pensare soluzioni idonee. È nel suo DNA se Architetto lo è davvero. Un urbanista svizzero sosteneva che un'abitazione (grande o piccola che fosse) dopo 80 anni dovesse venir demolita e ricostruita con tecnologie e stili adatte alla contemporaneità, attualizzandone spazi, arredi, forme e contenimenti energetici alle nuove esigenze. E forse, forse... Ma torniamo alla Città Ideale. Essendomi laureato in tarda età, (anche se gli Architetti sotto i cinquant'anni sono giovani Architetti) non ho avuto occasione di conoscere molti importanti Architetti a parte qualche eminente Docente o di studiare bene la biografia dell'ossolano Paul Vietti Violi. Un saluto impersonale a Mario Botta, qualche ora di Lectio Magistralis di Luigi Caccia Dominioni in casa sua e su un cantiere milanese: "Se vuole fare i concorsi li faccia, le possono servire come esercizio", oppure: "Io sulla pianta ci passo ore e ore; una volta mi hanno chiamato su un bel lavoro di ... grandissimo architetto, ma la pianta no, quella no, andava rivista". Una chiacchierata e una corrispondenza ci fu anche con Domenico Basciano, urbanista a Casablanca e a Marsiglia (stagista negli anni '40 del citato Arch. Ing. Paolo Vietti Violi).

gim città ideale utopia (2) Scorcio di città ideale di G. Bonzani

Infine conobbi Guglielmo Mozzoni. Quest'ultimo è stato per me un maestro seppur conosciuto tardivamente e purtroppo per poco tempo. Un Architetto del pieno '900 (scomparso nel 2014 a quasi 99 anni) che aveva previsto e progettato costruzioni futuristiche dove proponeva in scala dal semplice "condominio" sino alla città di 25 mila abitanti, tutti edifici compresi in una sfera... Già, una sfera in cui potessero coesistere abitazioni, terrazze, giardini, persino uffici pubblici, scuole e ospedali (solo il cimitero era previsto "fuori"). Una sfera con 300 m. di diametro dove tutto si sarebbe raggiunto a piedi, senza necessità di auto o mezzi pubblici. E il territorio circostante restituito per la gran parte alla natura, alla campagna tanto necessaria per la produzione alimentare sia umana che animale. Detto così può far sorridere, ma Mozzoni era uno serio, molto serio, estremamente colto, deciso e preparato. Laureato nel 1939 viveva tra Varese e Milano ed aveva progettato e costruito in tutto il mondo. Non voleva sentir parlare di Designer perché per lui esisteva solo l'Architetto: "il designer è un Architetto, si deve chiamare Architetto". Lui stesso in gioventù fu un sostenitore del Grattacielo come soluzione urbanistica d'eccellenza, ma con gli anni cambiò idea, fece autocritica e ammise che i grattacieli offrivano sì un risparmio in termini di aree occupate alla base per quelle totalizzate ai vari livelli, salvo poi richiedere ampi spazi per i parcheggi e la viabilità.

Riconobbe la non realistica fruizione di ambienti posti in vetta al grattacielo a quote non tollerate dall'uomo sommata anche all'elevata e sconveniente percentuale strutturale necessaria a far sì che "la cosa stia in piedi". Mozzoni aveva pensato l'intero EXPO 2015 compreso in una grande sfera, sempre lì a Rho Pero dov'è stato realizzato l'insieme dei padiglioni espositivi. Una grande sfera e tutto intorno il verde e la campagna, già perché è appena il caso di ricordare che il tema di quella grande rassegna era proprio "Nutrire il pianeta, energia per la vita". Il critico Vittorio Sgarbi e il prof. Lorenzo Degli Esposti, incaricati dalla Regione Lombardia in occasione di quell'evento per l'allestimento del "Padiglione Architettura - Belle Arti", esposero nell'Atrio istituzionale del Pirellone proprio alcuni modelli e disegni della Città Ideale del Mozzoni dagli anni Sessanta sino alle proposte per l’EXPO 2015. Il che non è stata cosa da poco (pochi anni prima Mozzoni li aveva esposti anche a Dubai). Questi progetti e relativi modelli dal 2015 sono ben custoditi e catalogati nella sua villa museo di Biumo Superiore a Varese (**). Testimoni di un Maestro che proponeva un'Architettura, cioè "uno spazio abitabile consono alle esigenze contemporanee, che si sono rivelate esigenze di sopravvivenza nel caos in cui siamo caduti"... Parole quanto mai profetiche.

gim città ideale utopia (5) Scorcio di città ideale di G. Bonzani

Ora, grattacielo, condominio, case alveare seppur tecnicamente perfetti dal punto di vista strutturale, si sono rivelate oggi qualcosa che è andato "contro l'uomo" specialmente in termini sociologici ma non solo. Questa pandemia lo certificherà che lo si voglia ammettere o meno. Il lavoro del settore terziario "da casa " ad esempio: una volta sperimentato per forza, verrà abbandonato quando torneranno le condizioni, ma i "grandi del potere" ne faranno studiare i risvolti "positivi" opportunamente convenienti per ridurre spese, rimborsi, trasferimenti e magari maestranze. Un giorno alla settimana, forse due, basteranno per trovarsi fisicamente, poi ognuno di nuovo nel suo piccolo mondo dove sarà possibile lavorare in pigiama, ma impossibile sfuggire al controllo incrociato di chiunque. E le spese logistiche (sicurezza, microclima, energetiche) potranno venir forfetizzate con un rimborso mai pari al costo di una grande struttura. Ma questo è un altro discorso. Al limite l'architetto dovrà tener conto nelle nuove costruzioni di uno spazio "impersonale" pubblico seppur domestico in cui chi lavora dovrà "isolarsi" per contattare il proprio mondo lavorativo esternalizzando la propria privacy. E in edifici urbani (ma non solo) dove le metrature valgono migliaia di €, questi spazi hanno un peso.

gim a Biumo superiore tra i modelli delle città ideali
G. Bonzani a Biumo Superiore tra i modelli della città ideale

Se sbaglio a progettare uno spazio dove collocare una lavatrice (che comunque occupa mezzo metro quadrato), avrò gettato via una cifra considerevole visti i costi al mq. E pensare che quanto appena accennato sopra, non comprende per ragioni di sintesi (ma non dimenticate per questo) pari analisi per tutta quell'Architettura che riguarda i restanti tipi di costruzioni: quali ospedali, palestre, palazzi pubblici, scuole, chiese, impianti sportivi, hotel, infrastrutture di vie e trasporti ecc. Ma lasciando il reale e volendo ancora una volta rifugiarsi nella fantasia e tornando alla premessa di questo scritto ecco: anch'io nel 1997 inventai una mia città Ideale. Forte dell'ardire e di quell'incoscienza ingenua che anima i neo Architetti, partecipai con questo tema ad un concorso nel modenese. Manco a dirlo; non venni neppur menzionato, ma mi servì come esercizio (ricordando le parole del Caccia) e parte di quelle costruzioni, tanto diverse dalla sfera del Conte Guglielmo, amo riproporle e ripensarle ogni tanto perché convinto che solo un colpo d'ala innovativo possa mutare concetti di ampliamenti urbani che, seppur tecnologicamente avveniristici, rischiano ancora di essere superfetazioni “moderne" di impianti medievali.

Arch. Giacomo Bonzani (Gim)                         (Villette 12 aprile 2020)

(*) A fine dicembre 2006 mi capitò casualmente una "vicinanza" solo virtuale nell'elenco degli Architetti famosi citati in una pagina web di Archiworld. Infatti, potei vantare un breve cenno, dopo la casella di Massimiliano Fuksas, lì ricordato per la sua famosa copertura a vela nel nuovo polo fieristico di Milano. Ero stato citato per lo "specchio di Viganella".

(**) L'architetto Mozzoni è stato capofila di un team di una trentina di progettisti che hanno concorso per realizzare il Palaitalia di EXPO 2015. A questo progetto redatto nell'inverno 2012-2013, partecipai anch'io in quanto chiamato per studiare degli specchi da porre in copertura per illuminare gli ambienti sottostanti. Il progetto giunse ottavo su oltre 60 concorrenti accettati. In caso di vincita il bando prevedeva che sarebbero stati assegnati ai vincitori 32 ML di € per il palazzo realizzato “chiavi in mano". Vinse un gruppo di Ingegneria e Architettura di Roma. Il Palaitalia è costato 110 Milioni di Euro.  Il solo "albero della vita" disse Mozzoni era costato 10 milioni. Sgarbi propose invano che in sua vece fosse realizzata "almeno" una sfera del Mozzoni, piccola, ma esemplificativa di quella geniale ed avveniristica Architettura.

gp bonzani
G. Possa consegna a G. Bonzani il premio Bognanco Terme alla carriera

A Giacomo Bonzani di Villette (VB), classe 1953, architetto, scrittore, poeta, disegnatore e inventore di progetti arditi, è stato assegnato il premio alla carriera Bognanco Terme (VB) e altri importanti riconoscimenti. Ha pubblicato libri di poesia, di narrativa, di storia, di architettura e di trasporti. E’ esperto di gnomonica la scienza delle meridiane, quegli orologi solari che ha contribuito a rivalutare, riportandone molti all’antico splendore; nel 2005 ha progettato il famoso e avveniristico specchio del “sole in piazza”, ideato con l’allora sindaco di Viganella (Valle Antrona), Pier Franco Midali. Collabora a giornali e riviste specialistiche. Ha illustrato libri e pubblicazioni varie. Pubblico amministratore a Villette (VB) dal 1975 e ancora in carica (dal 1990 al 2004 per tre legislature è stato anche Sindaco). Cavaliere dal 1995, nel giugno 2006 è stato nominato Ufficiale dell'Ordine "Al Merito della Repubblica Italiana".

Gestire arte ed editoria oggi. Intervista a Enzo Nasillo: critico d’arte e letterario

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<<Nel mare calmo siamo tutti bravi nuotatori, ma è solo nella tempesta che si vede chi è realmente capace>>

94385127_10223343235187958_2926392661667479552_n Ritratto di Enzo Nasillo disegnato a matita da Sylvia Matera

Nella sua Torino, Enzo Nasillo - critico d’arte e letterario, giornalista, operatore culturale tra i più preparati e impegnati nell’organizzare eventi, mostre, manifestazioni, per scoprire nuovi talenti e dare spazio agli artisti - durante la sosta imposta da questa “pandemia” globale, si è dedicato alla lettura, a ricerche per approfondire discipline che spesso si è costretti a rinviare, perché magari richiedono tempo, riflessione e introspezione. Naturalmente, ha utilizzato anche questo periodo prezioso per programmare la sua agenda e l’attività futura, legata all’Associazione Orizzonti Contemporanei e a quella editoriale della sua casa editrice Alhena.

www.orizzonticontemporanei.it  

Con lui facciamo un punto sulla situazione dell’arte e dell’editoria, ma partendo dalla sua biografia, per comprendere con quale formazione e percorso ha accumulato la sua esperienza nell’ampio mondo della cultura. Ne è nata quest’intervista, per ragioni di “lockdown”, a distanza.

Parla dei tuoi studi, di cosa facevi prima di intraprendere in proprio la tua attività con “Orizzonti Contemporanei” ed “Alhena Editore".

<<Se devo essere sincero nel corso di questa intervista, per prima cosa devo confessare che da ragazzo non mi piaceva molto studiare. Tuttavia mi sono sempre impegnato per non dover mai perdere un anno, venendo sempre promosso. Può sembrare un paradosso in termini, ma la poca voglia di studiare secondo i dettami scolastici è sempre stata compensata da un’attenzione molto desta su tutto e da una continua voglia di apprendere. Durante l’università ho anche lavorato in molti settori, da quelli più umili (come l’edilizia e la meccanica), a quelli più vicini al mio campo professionale, come la gestione di stand per delle case editrici durante le fiere, il relativo rapporto con il pubblico e le collaborazioni con giornali, cartacei prima, on line successivamente>>.

Racconta qualche aneddoto curioso o un particolare insegnamento che hai acquisito nella tua giovanile esperienza.

1 nasillo E. Nasillo e Lara Statham 

<<Di aneddoti ne potrei raccontare così tanti da poterli trasformare nell’argomento di un libro intero. Potrei raccontare di aberrazioni e storture etico-comportamentali a cui mi è capitato di assistere nel corso di riunioni di giurie di premi, in cui sono stato chiamato a partecipare, ma preferisco indugiare su un episodio bello. Uno in particolare mi piace ricordare. È stato quando ho conosciuto Claude Fouchécourt, un artista francese oltremodo geniale (è stato anche poeta e narratore), il quale per due anni consecutivi aveva esposto i suoi lavori al Grand Palais di Parigi. Oggi molti suoi lavori sono parte integrante di collezioni pubbliche di musei e ambasciate, oltre ad essere in numerose collezioni private. Una volta giunto in Italia - parliamo degli anni Sessanta del secolo scorso - era stato recensito, seguito e presentato dal gotha della critica d’arte piemontese, fra cui Marziano Bernardi, Luigi Carluccio e Adalberto Rossi. Con gli anni era stato un po’ dimenticato. Auspice un’amica comune che ci ha presentato, è iniziata fra noi una collaborazione artistica ed editoriale molto proficua. Il primo libro pubblicato da Alhena Editore è suo: si intitola “Vite d’altri tempi”. La sua stima e la totale fiducia riservata alla mia persona, nonostante ci separassero anagraficamente quasi cinquant’anni, è una cosa che mi inorgoglì molto. Scomparso improvvisamente, ho sempre cercato di mantenerne desto il ricordo e di onorarne professionalmente la memoria>>.

Quale è stata la molla che ti ha fatto prendere questa decisione, non facile di questi tempi? C’è un avvenimento peculiare che ha inciso in modo particolare?

<<Come ti dicevo prima, la passione verso questo mondo ha radici assai profonde, per cui, dopo il conseguimento della laurea e l’espletamento del servizio militare con il grado di tenente, ho solamente incrementato i fronti operativi collegati all’arte e alla cultura. Assecondando la mia natura, ho negli anni accumulato un ragguardevole bagaglio di conoscenze, di approcci metodologici, il quale mi ha consentito di elaborare analisi sotto molteplici punti di vista, mettendo sempre in relazione arte, storia, letteratura, geografia, filosofia, psicologia, ossia contestualizzando la materia presa in esame>>.

Come vedi il panorama artistico italiano e mondiale?

<<Il panorama artistico italiano è sicuramente uno dei più interessanti, visto che nelle proposte in esso contenute c’è tanto delle nostre radici, della nostra storia e soprattutto delle nostre contraddizioni. Quello mondiale, dovendomi limitare a un’affermazione di massima, è figlio dei paradossi che caratterizzano i nostri tempi, fatti di velocità e di scarsa propensione all’approfondimento, per cui spesso vedo la rincorsa verso un’eclatanza tout court priva di contenuti e di idee, che nulla trasmette e ancor meno aggiunge>>.

Quali difficoltà devi affrontare nel gestire la tua attività? A quale target ti rivolgi?

<<Le difficoltà, se così vogliamo chiamarle, sono per lo più legate alle tempistiche preparatorie, dato che eventi, rassegne, mostre, uscite editoriali sono il frutto di un lavoro in cui ogni tassello deve essere collocato nella giusta posizione e al momento giusto, per far sì che la resa complessiva sia sempre ottimale. Per ciò che concerne i target, lasciami 57277822_2441283582766766_3503789188560453632_ocominciare con un’asserzione che ripeto sempre come un mantra: l’arte è di tutti! Conseguenza ne è che per me non esistono target. Ho avuto il privilegio e la fortuna di essere stato già da giovane il critico di riferimento di artisti affermati di gran lunga più anziani di me, i quali nel critico giovane vendevano il perpetuarsi del loro lascito creativo, dopo la loro dipartita terrena. Oggi che ho maturato qualche anno di esperienza professionale, mi piace aiutare anche i giovani artisti a muovere i loro primi passi propositivi in un mondo sempre più difficile, complesso e disorientante. La stessa cosa riguarda collezionisti, galleristi e critici. Ho intrapreso e intrattengo collaborazioni con gallerie operanti da poco, ma guidate da persone appassionate, rette e competenti, così come con i musei; mi giovo dell’aiuto di giovani colleghi alla stessa maniera di quello offerto da critici più anziani, i quali mi onorano con la loro stima>>.

Quali sono, secondo te, i condizionamenti che agiscono sull’arte?

<<Sono tanti. Troppi. Moltissimi inutili. Per un collezionista il primo, sbagliato, condizionamento è quello di ridurre l’acquisto di un’opera a una mera operazione economica. Io consiglio sempre di partire da un presupposto emotivo e di gusto: un pezzo deve innanzitutto trasmettere e comunicare un’emozione e, di conseguenza, piacere. Per gli artisti, invece, il condizionamento più pernicioso è l’emulazione, sia sotto i profili stilistici, sia sotto quelli del successo. Io non mi stanco mai di ripetere loro: siate unici! È il secondo mantra…>>.

L’arte può essere condizionata dalla società, dai poteri dominanti, dagli artisti famosi, da chi in ogni campo e forma la gestisce?

<<In molti hanno tentato di condizionare l’arte. Molto spesso succede, anche se oggi un po’ meno, che un gallerista o un mercante abbia l’esclusiva su un pittore del quale gestisce l’intera produzione. Di conseguenza cercherà di imporre a tutti i costi (sovrastimandolo) quel pittore, il quale si trova a dover dipingere a ciclo continuo e in maniera rapida anche opere non necessariamente “sentite”. Si verifica così una distorsione tanto da parte della resa del pittore, quanto nel valore di mercato e nella possibilità di scelta per un ipotetico acquirente>>.

Come convivono valore estetico-artistico e valore commerciale o di mercato?

2 nasillo  E. Nasillo con Monica Mazzei e
Marisa Daffara 

<<Questa è una domanda molto delicata, nella quale risiede la bravura di un critico d’arte se non capacità di un artista di avere qualcosa da dire (in termini di idee, messaggi, traslazione di sentimenti), dal suo percorso in questo campo e dalla corrispondenza biunivoca fra ciò che fa e ciò che è. Il valore commerciale o di mercato (che storicamente è arrivato dopo, arrivando a lambire il territorio della speculazione) dovrebbe (e dico dovrebbe) essere determinato dalla legge della domanda e dell’offerta. Nel campo dell’arte ci sono molte deroghe in tal senso. Mi spiego meglio. Ci sono stati casi di artisti che in vita sono stati quasi ignorati, certamente sottovalutati (la vicenda che noi tutti conosciamo di Vincent Van Gogh è in tal senso emblematica), per poi venire recuperati una volta defunti. Di converso, assistiamo alla vendita (sarebbe meglio dire svendita) di opere di tanti artisti contemporanei a un prezzo inferiore oggi che sono mancati, rispetto a quando erano in vita>>.

 Si colleziona per investimento o per passione?

<<Tutti e due gli aspetti sono importanti, se parliamo di collezionismo. Però io suggerisco sempre di anteporre la passione all’investimento. La prima è una certezza, il secondo può dare dei problemi>>.

Come curatore, che consigli daresti ai collezionisti?

<<Come anticipavo nella riposta precedente, dare spazio alla passione e alla forza emozionale che un’opera trasmette. Dopodiché, assicurarsi che l’autore abbia un buon curriculum e che non abbia cominciato ieri>>.

E a un giovane che vuole cominciare a collezionare?

<<Tante possibilità ci sono oggi. Il primo consiglio che potrei dare è quello di incominciare con opere dalle quotazioni non esorbitanti e magari dalle dimensioni non eccessive. Sia per una ragione di costi, sia per una ragione di spazio, ciò permetterà di poter prendere altri pezzi dello stesso autore o di altri>>.

E agli artisti che iniziano il loro operato?

<<Gli artisti che oggi cominciano e si affacciano propositivamente sul mondo dell’arte sono un po’ come un aquilone dentro una tempesta: volano alto spinti dal loro entusiasmo, dalla loro fantasia, dalla loro forza creatrice, ma è un attimo per essere spazzati via, demotivarsi e gettare la spugna. Ci vuole sempre un’àncora, un punto di riferimento. Che mi ricordi, non c’è stato un solo artista che, facendo tutto da solo, sia arrivato in alto. È anche per questa ragione che ho dato vita all’Associazione Orizzonti Contemporanei: a tutti coloro che ne fanno parte offro un rapporto di consulenza e partenariato su tutte le questioni collegate all’arte e all’editoria>>.

Quali metodi adotti dal momento in cui inizi a organizzare una mostra? Come scegli il tema? Quali sono i criteri che utilizzi nel selezionare gli artisti?

<<Questo aspetto della mia professione è più recente, ma in esso ho trasfuso tutte le competenze e le conoscenze acquisite negli altri campi. Qui il target è importante, perché per fare una mostra così tanto per farla non ci vuole molto, ma al tempo stesso non lascia segno. Quelle che sotto le insegne di Orizzonti Contemporanei organizzo, promuovo e propongo in ambito collettivo sono rassegne. La rassegna, a mio modo di vedere, per avere senso, deve avere elevata qualità nelle proposte, contiguità e sostegno da parte del territorio in cui viene allestita e soprattutto una selezione alla fonte. Non do mai un tema, perché un artista deve poter proporre ciò che sente e non svolgere una traccia imposta per l’occasione. Se mai, una volta costituitasi nel suo corpus, sarà la rassegna ad adeguarsi per filoni alle proposte degli artisti, i quali sono liberi e inimbrigliabili intrinsecamente. Le selezioni mi riescono agevolmente, perché come critico d’arte posseggo sufficienti elementi per poter valutare le capacità dei proponenti>>.

Parliamo di editoria. Oggi è più facile pubblicare, ma la qualità è migliorata?

<<Sì e no. È vero che oggi è più facile pubblicare (ci sono innumerevoli siti di self publishing), ma bisogna sempre considerare l’efficacia di ciò che si fa. Non basta stampare un libro. Occorre che venga letto e conosciuto>>.

Se chi vuole pubblicare un libro si rivolge a te, cosa gli proponi? Come scegli gli autori, i testi?

66458297_2507047829523674_6906818148004003840_o L'intervento di E. Nasillo al premio di poesia e narrativa Bognanco Terme

<<In editoria io lavoro metodologicamente alla vecchia maniera, ma con gli strumenti moderni che la tecnologia ci offre. Innanzitutto non chiedo (come ormai fanno quasi tutti) il file pdf da mandare in stampa, ma vaglio il lavoro che mi sottopongono sotto tutti i suoi aspetti. Un libro, per diventare tale, deve avere qualcosa da dire, non solo per chi l’ha scritto. Dopodiché, insieme all’autore, entro in corpore vili, aiutandolo (nel caso in cui sia necessario) a migliorare la forma e la struttura della pubblicazione. Quest’ultima, ospitata a seconda dell’argomento trattato in una delle collane editoriali di Alhena; una volta uscita, viene pubblicizzata, recensita e presentata al pubblico come una nuova creatura bisognosa di tutto l’appoggio per poter iniziare a camminare da sola>>.

Perché tanti vogliono pubblicare poesia? Qual è lo stimolo che li spinge verso la carta stampata?

<<Prima di tutto, credo per lasciare una testimonianza imperitura di sé. Non di meno, anche per cristallizzare in versi la propria esistenza o un pregnante periodo della stessa, vergando considerazioni che vanno dal semplice vivere quotidiano, ai ricordi, fino ad affrontare i dubbi e le trepidazioni che hanno sempre condizionano l’uomo, lungo tutto l’arco della propria parabola esistenziale>>.

Tu sei un editore di poesia e di prosa. Come fate voi piccoli editori a sopravvivere?

<<Non è facile, ma se il prodotto finale è buono, piano piano si fa strada fra la gente>>.

Oggi si parla della crisi dell’editoria in genere. C’è davvero un calo nella vendita di libri?

<<Sicuramente. Un po’ perché non si ha tempo, un po’ perché si preferisce sprecare il poco tempo a diposizione sui social, con i giochi elettronici sui dispositivi mobili o su quelli caricati sulle consolle. Leggere un libro vuol dire alimentare la mente, dedicare il tempo solo a se stessi per crescere interiormente. C’è una bellissima considerazione dello scrittore Daniel Pennac, il quale dice che il tempo per leggere è come il tempo per amare: dilata il tempo per vivere. Uno dei pochi aspetti positivi, forse l’unico, del momento attuale che ci vede reclusi nelle nostre abitazioni è sicuramente l’incremento del tempo dedicato ad ambedue le attività>>.

Come operatore culturale a tutto tondo, come vedi il futuro in questo campo?

<<È un campo pieno di bivi, di tornanti e di svolte repentine. Bisogna avere fiuto e un continuo legame con la realtà contemporanea, sempre più soggetta a cambiamenti veloci. Il futuro lo vedo bene, non perché sia un ottimista, ma perché considero la cultura (quella italiana in modo particolare) un inesauribile giacimento di risorse. A differenza di tutti gli altri giacimenti, questo col passare del tempo cresce. È la storia che ce lo insegna. Però bisogna saper guardare lontano e non farsi eccessivamente condizionare dalle momentanee battute d’arresto>>.

Tu sei membro di giurie, sia a livello artistico che letterario: come giudichi i premi? Servono per farsi conoscere, per vendere i propri libri o i propri quadri?

4 nasillo Davide Trotta, Stefana Lucà, E. Nasillo

<<In questi ultimi anni sono stato e sono anche presidente di commissioni valutatrici e selezionatrici al riguardo di premi artistici e letterari. I premi servono, se sono il punto di arrivo qualificante nell’ambito di una tappa del percorso di un artista o di uno scrittore. Purtroppo sovente sono vittime di molte degenerazioni e storture. Per prima cosa (potremmo chiamarlo terzo mantra!) i premi non si devono pagare, altrimenti non valgono nulla. Potrà sembrare un’ovvietà, ma nel corso della mia professione ho visto comportamenti che definire opachi equivarrebbe a fare un vero e proprio complimento. Ma, se le giurie sono composte da persone imparziali e competenti e il premio non è la mera occasione per cercare di drenare denaro dagli sponsor e dalle amministrazioni pubbliche, la conseguenza sarà una qualificante e inattaccabile valorizzazione delle opere e dei libri. Oggi si assiste - colpevoli in primis i partecipanti - ad eventi il cui unico requisito degno di nota e usato a mo’ di specchietto per le allodole è quello della presenza del vip di turno, ma che nulla ha a che vedere con l’arte, la poesia, l’editoria o la cultura in generale. È un riflesso dei tempi, in cui l’apparire fa breccia prima rispetto all’essere, e molti ci marciano sopra>>.

Per essere, nel contempo, un critico d’arte e letterario di quali abilità si deve essere dotati?

<<Domanda interessante. Andiamo per ordine. Primariamente occorre avere una vasta cultura, non dico sapere tutto perché è impossibile, ma certamente le competenze sul campo (credo che nessuno di noi si farebbe curare e tantomeno operare da una persona che non abbia la laurea in medicina). Dopo la cultura (che non è la mera erudizione), a mio modo di vedere, vengono le capacità di ascolto e la conseguente comprensione: con ciò voglio dire che un bravo critico deve sapere leggere l’anima di un artista o di uno scrittore per poterli raccontare. In ultimis, ma per nulla meno importante, una elevata dote comunicativa verso il pubblico, portando quest’ultimo ad appassionarsi ad ambiti, troppo spesso considerati ostici ed esclusivo appannaggio degli addetti ai lavori. Saper comunicare concetti complessi e articolati in maniera semplice e comprensibile, senza banalizzare (potremmo chiamarlo il quarto mantra!)>>.

Quali sono gli eventi, tra quelli organizzati da te, che più ti hanno appassionato?

<<Tu sei il primo che mi fa una domanda del genere. Ogni evento, ogni rassegna, ogni mostra, ogni presentazione di un autore o di un artista mi entusiasma sempre in egual misura, un po’ come lo era per Giacomo Leopardi ne “Il sabato del villaggio”. Nonostante gli anni e l’esperienza, questo tipo di emozione non scema mai. Penso sia la stessa cosa per un attore, prima che si alzi il sipario o per un cantante prima di cominciare il concerto. È una molla molto forte. Penso che solo quando non proverò più questo tipo di sensazione, di forte emozione (sempre debitamente coperta) smetterò di fare ciò che faccio>>.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

<<Il temporaneo flagello del Covid 19 ha portato tutti noi davanti a cambiamenti epocali, impensabili solo dieci settimane fa. Molti progetti già approvati o in fase di approntamento sono stati spostati più in là nel tempo: cionondimeno si terranno non appena cadranno le restrizioni, ma per adesso non voglio rivelare di più. È anche per questa ragione che abbiamo dato vita a una realtà come quella di Orizzonti Contemporanei e Alhena Editore: per far sì che la diversificazione dell’offerta culturale venga sempre garantita. Gli artisti e gli autori che seguo e che mi seguono - visto che per me la strada si fa sempre insieme - lo sanno bene. Nel mare calmo siamo tutti bravi nuotatori, ma è solo nella tempesta che si vede chi è realmente capace>>.

Giuseppe Possa

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Enzo Nasillo con gli amministratori del blog Giorgio Quaglia e Giuseppe Possa

Enzo Nasillo è nato a Torino nel 1976, dove vive e opera. Editore, giornalista e critico d’arte, ancora prima del conseguimento della Laurea ha collaborato con diverse testate e Fotocase editrici, assumendone la vicedirezione dei periodici e la direzione delle collane editoriali. Più volte in commissioni di giuria all’interno di concorsi artistici, di premi letterari e manifestazioni culturali, ha presentato per la Regione Piemonte svariate rassegne, portando all’attenzione del pubblico artisti e scrittori operanti nel presente. Dal 2015 è Presidente di Orizzonti Contemporanei e Direttore di Alhena Editore. È stato il fondatore dei Premi “Vette d’Arte” e “Cime Letterarie” che dal 2017 si tengono a Sestriere con cadenza annuale. Si occupa di critica d’arte e letteraria da più di vent’anni.

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Orizzonti Contemporanei e Alhena Editore promuovuono quelle che sono le eccellenze nel campo della cultura sotto tutte le sue modalità espressive.

 

Nel mondo poetico di Salvo Iacopino

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(una “lettura” di Gianni Longo)

iacopOgni uomo costruisce da solo i suoi palazzi, le sue catene e le sue prigioni. Un susseguirsi di imprevedibili giravolte.

Ma la vita è un'opera del pensiero. Ed è la letteratura a ospitare la ragion d'essere di Salvo Iacopino, avversando, se sopraggiungessero, persino gli ostacoli del caso. Il lavoro della mente gli è sacro! La sua sensibilità diventa discrezione, l'ardore quiete e insieme ai sentimenti si sciolgono nel medesimo fuoco.

Il nostro autore prova a lasciare nei suoi scritti le tracce delle sue passioni, dei suoi dubbi e delle sue idee, come una rugiada. Il suo "libro" interiore in realtà cerca, esplora e come un palombaro scandaglia l'universo delle parole per ritrovare la sua anima. In queste sue lunghe passeggiate da sognatore intreccia le parole e i propri significati per illuminare il suo dolore, la sua speranza e la grande profondità del suo spirito.

Sfogliare le sue liriche significa sfogliare uno dopo l'altro gli strati della sua vita, scoprire le sue verità nascoste, ossia se stesso. Iacopino non è mai disposto ad abbandonare la prodigiosa ricchezza di pensieri, di reazioni, di sentimenti che si annidano nelle ombre del suo sottosuolo. Il suo genere letterario in versi, ci filtra, attraverso le sue nubi cariche di pioggia, la luce di una nuova era, affascinante, anche se capricciosa. Ogni parola è sempre sul punto di cancellarsi, di mettersi in dubbio, di rovesciarsi nel proprio contrario.

La vita di ogni scrittore è complessa, difficile, e quella di Salvo canta i canti che il suo ingegno gli suggerisce. La sua poesia nasce e muore nei versi che compone, e in quelli del giorno dopo. La sua poetica è profonda, tant'è che le parole sono imbevute di un suono che custodisce gelosamente le nostre speranze. Iacopino si sente accresciuto dall'opera che porta in sé, e che gli è stata affidata per consegnarla nelle mani di chi la sorte ha stabilito. Queste poesie sono una collana di pagine straordinarie di forte intensità lirica e che ci fa percorrere condensate le essenze del mondo.

Il canto letterario è un'arte riservata a pochi illuminati, e il nostro poeta cela, esprime in fatti, immagini e consapevolezza.  Grandezza della letteratura la sua che colleziona e collega ciò che è lontano e ciò che è vicino, il passato e il presente, è come un morto che parla in nome del morto e ti traduce il linguaggio dei vivi. Grazie alla sua letteratura artistica vediamo moltiplicare il nostro mondo e, quanti più sono gli artisti originali tanti più sono i mondi a nostra disposizione, diversi gli uni dagli altri più ancora dei mondi che ruotano nell'universo.

salv iacRivolgendomi a te lettore: non fare dell'opera in versi una semplice lettura, ma fanne una scoperta di una nuova realtà. Per l'immenso bagaglio culturale che conserva l'opera di Iacopino, conquistala a mano a mano che leggi. Tutto quello che si apprende in un suo libro è la sua arte, il profumo cioè che ti conquista anche se proveniente da una grigia o rosea nuvola.

Nell'immenso calderone della realtà anche le albe e i tramonti si elevano e discendono sopra di noi. Il foglio bianco è la vera casa di Salvo, la sua arma, il suo trono, il suo rifugio, la sua protezione, il suo alibi, lo ama e riempie tutta la sua esistenza. Ciò che riporta sulla carta trascina via il tempo perduto, come un ponte spazzato via da un torrente impetuoso.

Iacopino quando mette nero su bianco trova la parola giusta tra le molte che si affollano nell'inchiostro. Ogni scritto quindi ha un'anima, l'anima di chi l'ha messa su  carta e di coloro che l'hanno letto, di chi l'ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso. Le nostre esperienze sono un caso tra molti casi, un avvenimento tra molti avvenimenti, ossia un numero di una serie.  La nostra Epoca è avida di valori, preferisce i più ardenti, i più tristi, quelli che mescolano al vino della vita un miele amaro d'oltretomba.

Deluso dal grigiore quotidiano dell'esistenza, seduto, con il mento poggiato sul dorso delle mani, silenzioso e in uno stato di vacuità mentale, approdai come un naufrago all'isola della letteratura di Salvo Iacopino, abbassando lo sguardo.  M'intrattenne una sua poesia con il suo Sapere. Così un sole cominciò a smembrare le barriere delle difficoltà che m'attanagliavano, illuminando persino l'imbrunire che abitava il mio essere.

Gianni Longo

gianni longo Gianni Longo










Salvo Iacopino nasce a Palizzi (RC), da dove si allonta­na in giovane età per trasferirsi in Piemonte. Si laurea in Fi­losofia all’Università Statale di Milano, discutendo la tesi di tanatologia “La morte e il morire nella civiltà tecnologica”, conseguendo poi il Master iniacop Co­municazione e Giornalismo mul­timediale. Da sempre attivo nel mondo delle Associazioni di volon­tariato, attualmente opera e vive a Domodossola (VB), dove è stato impegnato anche nell’attività poli­tico-amministrativa. Nel 2017 consegue un prestigio­so riconoscimento classificandosi 2° al Premio Milano International e nel 2018 è tra i vincitori della Golden Selection della Repubblica di San Marino. Nello stesso anno pubblica con la casa editrice Pegasus Edition la sua prima raccolta di poesie, “Frastorni”. Nel 2019 riceve il Diploma d’onore dal Premio Letterario Internazionale Città di Cattolica, <<come riconoscimento, per il particolare valore artistico dell’opera “Mi sveglierò di soprassalto”>>. Nel 2020 è tra i finalisti del XX Concorso Internazionale di Poesia “Habere Artem” organizzato da Aletti Editore, e inserito nella omonima Antologia. Ha in preparazione la seconda raccolta di liriche “Animaspeme”  Sito web: http://salvatoreiacopino.it www.pqlascintilla.wordpress.com/2018/06/22/salvo-iacopino-frastorni-pegasus-edition

Gianni Longo, che è nato a Bressanone nel Trentino, da anni è conosciuto nel mondo della OBNC5270cultura per i suoi saggi su artisti, come Piero Guccione, a cui organizzò un’importante antologica nel 1986 con la presenza di Leonardo Sciascia o come Anton Zoran Music che gli fu amico. Nel suo primo libro, “Lasciami almeno un sogno”, ha raccolto quanto di più significativo ha scritto negli anni, con quella sua prosa stilisticamente forbita, carica di umanità. Per questo volume, pubblicato da Armando Curcio Editore, l’autore, in occasione del Gran Galà del “Premio letterario internazionale Milano International 2018”, ha ricevuto il prestigioso “Premio della Giuria. Altri importanti riconoscimenti gli sono stati assegnati negli anni, gli ultimi: Giacomo Leopardi e il diploma Honoris causa di Critico Letterario e di Arti Visive. www.pqlascintilla.wordpress.com/2019/09/23/gianni-longo-tra-arte-letteratura-e-vita

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Pietro Giovanni Pilone: “Novelle Vigezzine” (edito da “Il Rosso e il Blu” di S. Maria Maggiore)

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Il libro "Novelle vigezzine", edito da “Il Rosso e il Blu” di Santa Maria Maggiore (VB), è scritto dal dottor Pietro Giovanni Pilone, per cinquant'anni medico condotto di Malesco e della bassa Vigezzo, “tra inverni bianchi di neve ed estati profumate di boschi”. Chi meglio del medico di famiglia sa leggere i dolori, le sofferenze, le gioie e le speranze dell'animo umano? In questo agile volume di 183 pagine, lo scrittore di origine novarese rivisita ambienti, situazioni e soprattutto tanti cari amici. Un libro allegro, con striature sagge e un po' nostalgiche, che l’autore dedica soprattutto ai suoi mutuati, di cui sono i protagonisti. Da leggere tutto d'un fiato.

Pietro Giovanni Pilone, oggi ottantasettenne, è stato per quarant’anni medico di Malesco e dintorni, in Valle Vigezzo, dove tuttora vive. Nato nelle ubertose risaie della Bassa Novarese, si trasferì lassù tra le montagne nei primi anni Sessanta, per svolgere la sua professione medica. Come lui stesso confida, fu un impianto felice fin dal primo impatto e assimilò ben presto gli usi e i costumi locali, circondandosi pure di una copiosa cerchia di amici: “da cui fui contagiato al punto che, tornando saltuariamente nel paese natale, soffersi l’onta di sentirmi apostrofare col nome di montanaro”.

Ha già pubblicato alcuni romanzi e testi vari (“Fiore non colto”, “Mistero in val Luana”, “Eresia e santità”, “Le sottili presenze”, “Tutto il resto è niente”, “Assiomi e aforismi”). E’ autore anche di sillogi poetiche (“Tempo mortale”, “Quando il cielo è nemico”, “Sogni di pietra” e “La luna sull’aia”), dove vi si trova un continuo fluire di emozioni e sentimenti, dentro i quali si può assaporare tutta le sensibilità lirica di Pilone, romanticamente intento a rievocare il mondo rurale in cui trascorse l’infanzia, ma anche le montagne, in cui, svolse poi il servizio di medico condotto. I suoi versi si sviluppano, però, anche in altre dimensioni, da cui sgorgano motivi intensi e vitali, delle cose e della nostra stessa vita, ricordando pure chi se n’è andato.

E’ ora fresco di stampa (edito da “Il rosso e il Blu” di S. Maria Maggiore, con in copertina un dipinto di Siro Polini) questo libro, “Novelle Vigezzine”, 33 racconti che muovono da spunti autobiografici e in cui si narrano episodi ispirati da vicende dei suoi pazienti o da ricordi di amici, persone e fatti  che hanno stimolato il medico a metterli sulla carta, oppure da avventure in cui è incorso lui stesso negli anni. Il tutto scritto in una prosa avvincente e sempre nel candore della poesia, pure quando la narrazione incorpora avvenimenti e personaggi, dentro gli spessori umani dei propri stati d’animo, descritti a freddo nei tuffi della memoria di un passato vissuto.  Così “Il gallo della Filomena”, “il fagiano del Romualdo” e “le uova della Felicetta” sono avvincenti sequenze di sentimenti, ma pure di “costi e ricavi”, con cui la penna feconda dell’autore tiene desti i lettori a ragionamenti e calcoli arzigogolati di singolari mentalità che aprono e chiudono conti, lasciando a volte i protagonisti incavolati, altre volte falliti, o curati dalla “calcolosi”, che ha fatto fruttare qualche pacchetto regalo “per il dottore”.

Pilone osserva l’ordinario del quotidiano nel quale è emersa la sua vita, scoprendo nelle confidenze dello studio medico o nelle chiacchiere delle osterie le storie degli abitanti che hanno il ritmo e il gusto degli aneddoti, con protagonisti a lui legati, per professione, per amicizia o semplicemente per conoscenza.

E quindi troviamo personaggi descritti con efficace immediatezza espressiva: “Il Giacinto”, l’amico coltivatore, titolare del più piccolo consorzio agrario della provincia o, meglio, del mondo; “Il Guerin” che si offriva di mescolare la polenta, per una durata ben precisa legata al consumo di due bottiglioni di vino; “Il Nino”, paziente, che all’autore faceva i complimenti per il suo “vinello”, ma che non mancava di dirgli, nelle interminabili discussioni: “tu sarai un bravo medico, ma di politica non capisci nulla”; il “Federico” col suo “fungone” di un chilo e otto etti, che per troppo egoismo se lo trovò invaso da una miriade di vermi; “Il Grillo” che con la sua bicicletta si recava ogni giorno in edicola ad acquistare i giornali; “Il Rico” che, come al solito, dopo una bella “piomba" era caduto dal ciglio della strada, ai tempi in cui non c’era ancora il 118 e si chiamava il medico del paese… che poi magari rischiava una denuncia o una minaccia! E ancora, “L’Evaristo” con le sue lettere natalizie piene di strafalcioni o “Il Tat” che si era costruito in anticipo la cassa da morto in cui volentieri si “esibiva”, ma anche tanti altri raccontati con godibilissima e sfrenata, qualche volta stravagante, aggiunta di fantasia.

Non mancano spassose storie che si alternano come in un lungo e unico racconto di vicissitudini della piccola vallata in cui vive l’autore, il quale attraverso la scrittura ne ha descritto l’aspetto più autentico. Ecco allora storie simpatiche, come quelle degli “Arretrati” (in cui ha modo di sbeffeggiare i propri colleghi, magari dai nomi sonanti), o di “Un procuratore per nemico” o de “L’ospitalità selettiva” e via via fino all’ultimo capitolo quello dei “Compagni di merenda”. Si ha così un florilegio di avvincenti testimonianze del passato, messe in risalto da un mondo a cultura orale; vicende che devono essere scritte se si vuole lasciarne testimonianza.

C’è poi un tratto peculiare del suo modo di narrare: l’ironia che ne spiega il lato più delizioso, più leggero, più “affettuoso”, fatta penetrare negli avvenimenti senza irriverenza, ma con molta benevolenza. Non manca neppure l’autoironia più o meno dissacrante e una ben dosata citazione di motti celebri, proverbi, frasi latine o in inglese, che come il sale insaporiscono le narrazioni (accenno solo a un paio di titoli: “Tabula rasa”, “Tu say or not to say – dirlo o non dirlo”).  

Chi ritiene la lettura come godimento  e felice attimo di estraniazione dai problemi quotidiani ricorra con piacere a questo libro di Pietro Giovanni Pilone, in cui il racconto è piano e il lettore avanza con piacere lungo le pagine, attratto da episodi davvero godibili, anche perché sovente rischiarati da un amore tanto profondo quanto mite per la natura e i suoi paesaggi di montagna, colta anche in diversi mutamenti stagionali e sempre con tratti di fresca poesia.

Giuseppe Possa

Nell'aria riodo il suo canto

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Oggi il cielo è tanto bello

e l'agonia tua oh Madre!

ha gli occhi azzurro chiari

d'un esotico elegante uccello

che più non sa cantare.

 

Trascorsi i giorni amari,

si spegne così il tempo, muto,

che limita il tuo volare:

la Terra pretende per tributo

un consumato corpo di pelle e ossa.

 

Pur inerme nel volerti ascoltare,

io aspetto allora la 'scossa'

che vinca la tua caparbietà

e cambi di colpo la sorte

di figlio aggrappato alla pietà.

 

Quando poi arrivi oh Morte!

- per dire che tutto è finito -

il Passato dispiega il suo manto

a coprire il dolore subito,

mentre nell'aria riodo il suo canto.

 

Giorgio Quaglia

20-24/06/2020

Personale di Giselda Poscia al Forum di Omegna

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giselda xx

OMEGNA – La mostra di Giselda Poscia  “Fra creatività e vita, fra natura e sentimento”, al Forum di Omegna, con la presenza dell’assessore alla Cultura Sara Rubinelli, è stata inaugurata sabato 20 giugno dal grande pittore cusiano Gilberto Carpo, che nel bel catalogo (curato da Giulia Sgarra) scrive, tra l’altro: <<Giselda raccoglie tutto ciò che le sfiora la mente o il cuore, abbandonandosi senza intermediari culturali, senza attribuzioni concettuali così com’è: limpida, il cui pensiero vaga, si trastulla nella sua pulita sensazione di quell’arte in cui nulla la può separare dal recepire le sue istanze in una quieta solitudine>>.

Nata a Gravellona Toce nel 1946, da giovane ha vissuto a Crusinallo, ora invece risiede a Omegna. Si è appassiona al mondo magico dell’arte fin da piccola, sollecitata dal padre che ne intuì le buone qualità segniche e cromatiche. Frequenta in seguito la scuola di finissima porcellana della maestra di Baveno, Livia Di Stasio. E’ però l’incontro con il maestro Carpo che dà una svolta alla sua pittura, raggiungendo una talentuosità che spazia in tecniche, soggetti e sentimenti vari. Così i suoi quadri tra interpretazione da autori classici e percorsi moderni tra romanticismo e concettuale, tra fiori o un figurativo personale e alcuni ritratti o nudi espressivi di donne soprattutto (anche se non mancano animali in pose da protagonisti), Giselda Poscia svela a poco a poco all’osservatore la sua autentica passione, riflessa nelle caratterizzazioni delle sue intense creazioni.

Cattura

Gli oli su tela che mi hanno attirato maggiormente sono quelli in cui si rivela un’attenta ammirazione per la natura, portato avanti con vivacità coloristica in tutte le tonalità e definita con una bellezza mossa ed eterea (Tramonto a Noto, Visioni dall’alto, Mare di Sardegna, Notturno ecc.). Queste atmosfere, che hanno un’ispirazione ben precisa, sembrano senza tempo perché avvicinano a quella natura magica che una volta percepita e assaporata rimane a lungo nell’animo. Ci sono anche i fiori da ricordare, alcuni nei vasi che sembrano sprigionare il loro profumo, altri liberi nel loro pieno rigoglio.

Un altro suo momento intenso è rappresentato dalla raffigurazione dei volti, in cui si vede riflesso la commossa umanità dei personaggi, come nello sguardo intenso, straziato, colmo d’amore, del figlio Luca (“L’Amore, tanto Amore, sempre Amore. Perdere un figlio non è un figlio perso”). Intense anche “Maternità” e “Maternità geometrica”, ripresi col cuore, colmi di poesia tra il laico e il mistico, i cui versi paiono sussurrati e vanno in profondità. Così termina il suo scritto Gilberto Carpo: <<Nel catalogo l’autrice si fa carico di un complesso di opere realizzate in momenti diversi, per cui si incrementa di altre immagini al di fuori della mostra; la visione di Giselda ci porta nel suo tempo vissuto, una testimonianza precisa del suo sentire e del suo operare>>. Concludo questa breve recensione con le parole di Giselda: <<La “pittura” una conferma del mio esistere. Con le mie emozioni a colori>>.

Giuseppe Possa

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Alessandro Chiello: intervista a cuore aperto e a mente fredda.

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a cura di Giuseppe Possa (critico d’arte e letterario) 

Lo scopo di questa intervista è di dare non solo un’informazione sulla vita dello scrittore e pittore Alessandro Chiello, ma pure quello di scoprire le segrete strade della sua creatività in campo letterario e artistico. Egli vive il suo tempo, che è anche nostro, coinvolto e immerso nei propri problemi e pensieri, nelle proprie gioie e tensioni, oltre che negli avvenimenti sociali, come tutti noi. È questa, quindi, una “passeggiata” nei meandri della sua esistenza di uomo e intellettuale, dedito con grande passione a un lavoro considerevole e originale.

Ci sono pittori che scrivono e scrittori che dipingono: tra questi ultimi, ora c’è pure lui, noto soprattutto per i numerosi romanzi giallo-noir pubblicati. Come narratore possiede una scrittura scorrevole e ricca di riferimenti culturali che cattura, scavando nell’inquietudine e nei sentimenti profondi dei protagonisti. Nell’intervista qui pubblicata accenneremo anche ai suoi libri e a suoi quadri.

Sull’Alessandro pittore, però, voglio premettere un breve giudizio critico, visto che questa pubblicazione è dedicata alle sue opere pittoriche, astratte e figurative. Tutte le sue tele sono animate da un gesto segnico immediato o di libertà espressiva e da intensi, vibranti, accordi cromatici, che comunicano emozioni attraverso linee, forme e trame dalle impercettibili vibrazioni. I suoi colori s’intrecciano in un groviglio di elementi impregnati da una pulsante energia istintiva e interiore, ma nello stesso tempo sospesi in una struttura formale di mirabile coerenza. A caratterizzare in modo peculiare la dimensione visionaria e informale di queste composizioni, oltre alle figurazioni, ci sono simboli e metafore che si fondono armonicamente in sperimentazioni originali.  

Infanzia e studi

Caro Alessandro, cominciamo per così dire “ab ovo”. Racconta in breve i dati salienti della tua vita: parti dai genitori, dall’infanzia, dai tuoi luoghi, dai tuoi giochi.

<<Sono nato cinquant’anni orsono in terra elvetica, nell’incantevole Vevey che si affaccia sul lago Lemano, famosa per la sede della multinazionale Nestlé e, molto significativo per me, luogo in cui è vissuto negli ultimi anni della sua vita il grande Charlie Chaplin. Spesso ho visitato la sua tomba, quando passo nella mia città natale. Nella mia infanzia in pochi anni ho vissuto in Svizzera, poi nel sud Italia e infine a Villadossola, per motivi contingenti al lavoro dei miei genitori e alla loro separazione. Ho quindi precocemente imparato ad adattarmi ai cambiamenti e agli spostamenti. Ed è stata la mia “innata” bravura, almeno così dicevano, nel giocare a calcio che mi ha permesso di inserirmi nelle varie realtà, senza troppe difficoltà. Per questo che sono rimasto così legato a questo sport, anche dopo aver smesso di giocare e di allenare. L’amore per i libri e poi per l’arte hanno completato la mia formazione, aprendomi un mondo di possibilità che solo in seguito avrei cercato di sviluppare e di sfruttare>>.

Che influenza hanno avuto i tuoi genitori, i tuoi nonni, su di te da piccolo?

<<I miei genitori sono stati grandi: pur nelle difficoltà di una separazione che inevitabilmente crea dei traumi in un bambino, non mi hanno fatto mai mancare il loro amore, anche se ho sentito tanto e spesso la loro mancanza, perché entrambi lavoravano nella ristorazione. Quindi, sono cresciuto dai miei nonni calabresi, soprattutto da mia nonna, una donna eccezionale: pur essendo analfabeta, aveva uno spirito e un’intelligenza fuori dal comune. Da piccolo “vivevo” al campetto dell’oratorio di Villadossola, leggevo tantissimi fumetti e all’età di otto anni avevo letto i miei primi libri: “I misteri della giungla nera” di Salgari e subito dopo “Assassinio sull’Orient Express” di Agata Christie, un capolavoro del “genere” che avrebbe poi segnato la mia vita>>.

In questa non facile situazione, come hai vissuto, dunque, i tuoi rapporti con la scuola elementare, con i maestri?

<<Il mio approccio con la scuola non è stato semplice: la prima elementare l’ho frequentata nel paesino di mio padre, in provincia di Caserta, la seconda a Villadossola, dopo che i miei genitori si lasciarono. Ricordo che non fu semplice… ma grazie alle mie abilità calcistiche riuscii ad inserirmi, comunque. Ricordo con affetto la maestra Giovanna Totolo, che mi accolse e mi seguì con molto affetto. Le scuole elementari erano ospitate sulle sponde dell’Ovesca, dove ora c’è il Formont. Dalla finestra della mia classe guardavo sempre la chiesa di San Bartolomeo… un capolavoro dell’architettura romanica. L’amore per le bellezze artistiche le avrei scoperte in seguito, ma qualcosa cominciava a germinare. Là si erano sposati i miei genitori e là mi sarei sposato io. Quella chiesa sull’Ovesca avrebbe segnato quindi la mia vita. Sarebbe stato lo scenario del mio primo romanzo giallo, “Misteriosi omicidi sulle sponde dell’Ovesca”>>.

Non fermarti, prosegui a raccontarci dei tuoi studi e di qualche aneddoto giovanile curioso che si collega alle tue passioni nel mondo culturale, un avvenimento peculiare che ha inciso in modo particolare.

<<La formazione della mia visione del mondo e del mio pensiero politico è stata condizionata da tanta confusione. Ricordo un mio tema che fece “scalpore”, in quanto accostai arditamente la figura di Gesù Cristo con quella di Che Guevara. Non il massimo in una scuola cattolica. Parlando degli anni del liceo, che coincidono con l’adolescenza, non suscitano in me grandi ricordi. Li rammento come un’occasione sprecata. Avevo grandi professori, un ambiente ideale per coltivare le mie passioni, ma ero confuso e poco maturo. Invece di studiare, leggevo altro, quello che mi piaceva e non quello che mi veniva imposto. Sono stato un cattivo studente. Però l’amore per la storia dell’arte e per la letteratura cresceva e lievitava>>.

E quale fu la scintilla che ti fece mutare atteggiamento.

<<Durante una gita a Venezia, ebbi un’illuminazione: invece di seguire il gruppetto dei “casinisti” e andare a zonzo per la città, mi accodai al professore di lettere, il compianto professor Dario Gnemmi, un grande studioso. Passai una giornata meravigliosa. Ricordo con affetto la sua figura… lui mi fece capire cosa si nascondesse dietro l’arte: il mistero della bellezza, del genio, della volontà di sconfiggere la morte attraverso l’eternità della creazione artistica>>.

L’Università, invece, come ha inciso su di te?

<<L’università, al contrario, mi ha dato grandi gioie, rappresentava il luogo ideale per me: finalmente potevo scegliere e indirizzare i miei studi. Anni proficui pure se impegnativi, perché dovevo anche lavorare per pagarmi gli studi. Se avessi del tempo non esiterei un attimo a iscrivermi per un altro percorso di studi. Sono incuriosito dagli studi giuridici>>.

Lo hai già accennato, ma precisa meglio com’è stato il tuo incontro con i libri.

<<D’accordo. Ti ho già citato i primi due romanzi che ho letto. Non posso dimenticare il giorno che mio padre mi comprò il romanzo di Salgari. Averlo tra le mani, annusarne le pagine, accarezzare la copertina rigida. Questo il mio primo incontro, queste le prime emozioni. Fu amore… un amore che dura ancora. Meno passionale ed emozionante l’approccio ai libri del liceo e a quelli universitari: parevano fatti apposta per scoraggiare e rendere ostico anche l’argomento più interessante. Per fare un esempio: ho detestato Dante al liceo; solo in età matura e con una lettura solitaria ho scoperto l’incredibile grandezza e profondità del suo poema. Sono d’accordo con il grande critico americano Harold Bloom: Dante e Shakespeare sono i fari della letteratura occidentale. Nelle loro pagine c’è tutto l’universo umano, descritto con potenza, dolcezza, verità e profondità>>.

Famiglia, lavoro e passioni (prima di pubblicare)

Alessandro, passiamo ora ad altre domande: la tua famiglia oggi.

<<Sono stato fortunato nella mia vita, perché sono stato sempre accompagnato da donne eccezionali: la mia splendida mamma, scomparsa un paio di anni fa, impossibile quantificare la sua mancanza, mia nonna, mia moglie Barbara e i nostri “capolavori”, le mie figlie Benedetta e Beatrice. Viviamo a Domodossola, capoluogo di una regione incantevole e misteriosamente sconosciuta; il centro storico della mia città è uno dei più suggestivi e meglio conservati del Piemonte, ma purtroppo fuori dai nostri confini ci ricordano solo per la D di Domodossola… secondo me rappresenta il grande fallimento dell’intera classe politica degli ultimi decenni>>.

Qual è stato il tuo percorso biografico e professionale?

<<Lavoro in Svizzera da ormai venti anni. Sono impiegato come dirigente nelle Ferrovie Svizzere. Un lavoro impegnativo e gratificante, ma il mio sogno era di diventare insegnante. Per questo mi ero impegnato nello studio, dopo la maturità classica, conseguita al Rosmini di Domodossola, laureandomi prima in Scienze Motorie e poi in Lettere e Filosofia, indirizzo storico-artistico, ma in seguito ho preferito scegliere di lavorare all’estero per guadagnare meglio. A volte il rimpianto di questa scelta fa capolino nella mia mente>>.

Raccontaci qualcosa del tuo trascorso di vita.

<<I viaggi hanno scandito la mia vita. Quelli delle vacanze, ma soprattutto i viaggi di lavoro. I primi anni in Svizzera li ho passati nel settore dei treni notturni, vagoni letto e cuccette. Un lavoro duro in quanto si dormiva poco, ma mi ha permesso di viaggiare in tutta Italia e in Europa: a volte il lunedì lo passavo a Venezia, il giovedì passeggiavo a Bruxelles e la domenica mi godevo le eterne bellezze di Roma. Ho visitato i musei più belli e interessanti del continente e alcune delle mostre più importanti. In quel tempo ho cominciato a scrivere>>.

Soffermiamoci un attimo su come sono nate le tue passioni per il calcio, per la politica e in seguito per la scrittura e l’arte?

<<Il calcio ha caratterizzato la mia infanzia e la mia adolescenza. Una grande passione sia per quello giocato che per quello visto da spettatore (poche gioie e tante croci visto che sono interista, come tu ben sai). La scrittura è figlia diretta della mia passione per i libri e per la lettura, diciamo che è stata la sua naturale evoluzione; quella per l’arte è stata la conseguenza delle mie inclinazioni personali e poi dei miei studi. La politica ha rappresentato una breve parentesi, che sinceramente non ripeterei. Non fa per me… un milione di chiacchiere inutili e infinite polemiche. Nel mio caso, si è trattato di tempo perso>>.

M’incuriosisce capire come riesci a conciliare la tua professione con le tue passioni e la famiglia.

<<Non è semplice, ma la bellezza del mio lavoro consiste nel viaggiare spesso e ho imparato a gestire efficacemente le mie giornate, alternando dovere e piacere. Un rimpianto grosso e una delle cose per cui dovrò rendere conto e chiedere perdono al Creatore è il fatto di aver trascurato troppo la famiglia per seguire le mie passioni. Un duro prezzo da pagare >>.

Lo scrittore

C’è stato un incontro particolare che ha influito nel tuo percorso culturale in genere?

<<Due grandi professori hanno influito nel mio percorso intellettuale: il già citato professor Gnemmi e Tullio Bertamini, grande storico ossolano e mio docente di matematica e fisica al liceo; materie per le quali sono sempre stato un disastro con suo grande rammarico. Ci siamo incontrati qualche anno dopo per la stesura della mia tesi, dedicata alle chiese romaniche ossolane. Mi ha trasmesso, pur alla sua maniera brusca e burbera, l’amore per la storia e la cultura del territorio e mi ha aiutato durante la scrittura dei miei primi libri, dedicati appunto a questi argomenti>>.

Alessandro, entriamo ora più nel merito della letteratura. Quando ti sei sentito scrittore, prima di libri d’arte, di cinema ecc. e poi di romanzi gialli?

<<Le prime pubblicazioni sono frutti naturali dei miei studi e poi delle mie passioni. Scrivere d’arte prima e poi di storia del cinema è diventato un modo di coltivarle.

Ho iniziato a scrivere gialli per diletto personale. Poi un amico milanese mi ha convinto a pubblicare il primo in versione digitale. L’ottimo e sorprendente riscontro di vendite e di giudizi mi hanno convinto a perseverare e a crederci per davvero. Anche lo stimolo e l’incoraggiamento di Renato Ponta, libraio ed editore di Villadossola, mi hanno spinto in questa direzione. Dopo l’exploit de “I delitti del Calvario” (siamo alla terza ristampa) ho cominciato a sentire che forse non usurpavo il titolo di scrittore>>.

Hai avuto maestri che ti hanno influenzato o grandi scrittori a cui ti sei ispirato?

<<Nel mio modo di scrivere mi ispiro a tre grandi modelli e maestri irraggiungibili: Georges Simenon, il padre del commissario Maigret, la sua prosa scarna, semplice, diretta mi ha conquistato. Leggere i suoi romanzi è sempre rilassante. Ho letto e riletto tutti i 76 romanzi di Maigret e un centinaio dei romanzi duri, come li chiamava lui. Meraviglioso! Mi affascinano anche la prosa passionale e coinvolgente di Oriana Fallaci, capace di trasmettere nella sua scrittura tutta la forza e l’impeto della sua personalità, restando comunque elegante e raffinata. Infine, Indro Montanelli, caustico, arguto e ironico: la sua Storia d’Italia è un capolavoro di divulgazione e di scrittura intelligente. Questi i miei riferimenti ideali. Nella realtà, ho preso da tutti e da tutto: ho fatto tesoro di ogni consiglio che i miei vari editor mi hanno elargito con generosità, inoltre sono curioso, leggo molti romanzi contemporanei e assimilo un po’ da tutti>>.

Quale fu la molla che ti ha spinto a pubblicare? Chi ti ha aiutato?

<<La molla che mi ha spinto è la voglia di comunicare e trasmettere le mie passioni; per questo ho dovuto combattere la mia ritrosia e la mia timidezza, caratteristiche non molto indicate per chi vuole pubblicare libri o esporre quadri. L’aiuto di Renato Ponta è stato decisivo. Quando ha letto i miei primi romanzi mi ha convinto che fossero validi e dal secondo in poi è diventato il mio editore di riferimento>>.

Parlaci da dove nascono i tuoi libri, i personaggi che ti hanno ispirato… e a chi fai vedere per primo i tuoi romanzi.

<<I primi saggi nascono dall’interesse e lo sviluppo dei miei studi universitari. I personaggi dei romanzi nascono dall’osservazione di quello che mi circonda e dai miei ricordi personali… non nascono mai da un’invenzione dettata a tavolino, ma dalla realtà. Spesso alcuni dei personaggi più riusciti mi sono stati ispirati da persone che non conoscevo, incontrate in treno. Mentre li osservavo me li immaginavo in alcune situazioni di vita e poi li ho trasferiti nei miei romanzi. I miei primi lettori sono sempre l’editore e poi coloro che si occuperanno dell’editing. Nel mio caso ho sempre avuto fiducia di amiche fidate come la prof. Danila Tassinari o come Claudia Peduzzi, una lettrice vorace, molto più di me>>.

Alessandro, ti propongo una domanda, in questo contesto forse un po’ inopportuna, ma secondo me importante per far rivelare la vastità dei tuoi interessi, conoscenze e qualità letterarie: elenca i tuoi già numerosi libri, inizia dalla “narrativa”:

<<“Il re di Parigi” (2007) Medimond editore, Bologna. Il primo romanzo, un omaggio a mia moglie>>.

<<“Misteriosi omicidi sulle sponde dell’Ovesca”  (2013),  Narcissus Editore, Milano, 4 ristampe; La Pagina, Villadossola. Il primo giallo, il debutto del commissario Gegè>>.

<<“I delitti del Calvario” (2014), 3 ristampe, La Pagina, Villadossola. Il best-seller, il romanzo più venduto… mi dicono che sia diventato un classico da biblioteca…>>

<<“Morti a Venezia” (2016), La Pagina, Villadossola. Uno dei miei preferiti, il commissario Gegè indaga nella città lagunare>>.

<<“Il vagabondo che amava Mozart” (2018), La Pagina, Villadossola. Questa volta indagine tra le strade di Parigi e colonna sonora del genio di Salisburgo>>.

<<“Per sempre” (2019), Eclissi Editrice, Milano. Finalmente una pubblicazione nazionale. Una grande soddisfazione, bellissimo ricordo la presentazione nel cuore del quartiere di Brera. L’esordio di un altro personaggio, l’ispettrice Lina Gatti, devota e arguta>>.

<<“La rosa di Tappia” (2019), La Pagina, Villadossola. Il ritorno in Ossola del commissario Gegè. Un romanzo che mi ha dato tante soddisfazioni...>>.

Passiamo ora alla saggistica:

 <<“Feste e tradizioni popolari”, Gal Azione Ossola, (2006)>>

<<“Il Romanico in Ossola”, Gal Azione Ossola, (2007); ristampato da edizioni Terre Alte-Oscellana (2008); compendio dei miei studi universitari>>

<<“Emozioni, un viaggio nella storia dell’arte attraverso 20 capolavori”, (2007), Edizioni Uniservice, Trento; ristampato da Edizioni BenBea (2014). Raccoglie le opere che più ho amato durante le mie visite nei musei>>

<<“I Santuari mariani In Ossola”, Edizioni Terre Alte-Oscellana, (2008). Un altro tributo ai capolavori architettonici ossolani>>

<<“C’eravamo tanto amati. I capolavori e i protagonisti del cinema italiano”, Narcissus Editore, Milano (2014); il mio atto d’amore al cinema nostrano e ai suoi sublimi interpreti>>

<<“All’ombra dei cipressi - Viaggio tra le tombe dei grandi, La Pagina, Villadossola (2019). Il mio saggio preferito in cui ho onorato grandi uomini e grandi donne, visitando le loro estreme dimore. Un viaggio lungo ed emozionante>>.

A proposito, sei soddisfatto delle vendite, del successo ottenuto?

<<Considerato il fatto che la maggior parte delle mie pubblicazioni sono state distribuite solo in Ossola, sono molto soddisfatto e orgoglioso delle vendite e del nutrito gruppo di lettori e lettrici che si sono affezionati ai miei romanzi, soprattutto quelli della serie del commissario Gegè. Nel 2018 ho pubblicato “Per sempre” il mio primo romanzo fuori regione con la casa editrice milanese “Eclissi”; si tratta di un giallo ambientato a Firenze. L’accoglienza è stata superiore alle mie scarse attese>>.

Cosa tieni nel cassetto e quali sono i tuoi futuri progetti letterari?

<<Le prossime pubblicazioni riguardano una raccolta di racconti, sempre di genere noir, ambientati in Ossola. Un progetto a cui sono molto legato; poi la seconda pubblicazione milanese è in dirittura di arrivo. Per il prossimo anno prevedo la nuova puntata delle inchieste del commissario Gegè e un romanzo in fase di elaborazione a quattro mani con un’amica “lettrice di facce”>>.

L’arte e la pittura

Prima abbiamo parlato di te come scrittore, ora passiamo all’Alessandro pittore: ti sei sempre interessato di arte, avevi pubblicato anche dei testi interessanti, con ottime “letture” di quadri dei grandi artisti, conservati nei musei, ma non avevi mai dipinto. Poi improvvisamente hai intrapreso anche questa strada. Come si è scatenata in te questa passione, come e quando hai iniziato e ti sei sentito anche artista?

<<È stato molto strano. Frequento musei e mostre da tantissimi anni. In questo devo ringraziare mio padre che fin da bambino mi ha portato a visitarli. Poi ho cominciato a studiare la storia dell’arte e soprattutto i suoi geniali protagonisti. Mai, però, ho sentito l’esigenza di fare arte, mai. Nel 2018 dopo la morte di mia madre, in un giorno d’estate senza averlo programmato, senza averlo pensato, mi sono fermato in un negozio di bricolage, ho acquistato qualche tela, un po’ di barattoli di vernice acrilica, qualche barattolo di vernice spray e sono andato a Crodo, nella baita della famiglia di mia moglie, che sorge solitaria in mezzo al bosco. Metto una tela per terra in mezzo al prato e inizio a imbrattarla “stile Pollock”. Il risultato mi piace. Alla fine del dipinto mi sento bene e appagato. Da allora nutro l’impulso di dipingere alla mia maniera… non so perché…>>.

C’erano già stati artisti, per caso, nella tua famiglia? Hai mai frequentato scuole o maestri che ti hanno spinto a dipingere?

<<Nessuno. Sono completamente autodidatta>>.

Come riassumeresti il contenuto della tua arte? Accenna anche ai tuoi primi quadri.

<<La mia arte si può sintetizzare in pochi aggettivi: spontanea, sincera, appassionata… All’inizio ho pagato dazio alla mia poca esperienza e abilità tecnica. Ero molto lento e insicuro; infatti, i primi quadri pagano questo dazio, anche se mi piacciono per la genuinità che esprimono. Mi interessavano alcuni grandi artisti del passato e cercavo di carpire i segreti delle loro composizioni>>.

Come la pittura o i pittori del passato entrano nei tuoi quadri? Che legame c’è tra la pittura del passato e la tua?

<<Il mio percorso è atipico. Ho cominciato a studiare la storia dell’arte da giovane e in età matura ho iniziato a dipingere, mettendo a frutto la conoscenza teorica ed emotiva degli artisti che amo di più. Ho studiato tantissimo Pollock e il suo modo gestuale e istintivo di concepire la pittura, poi Chagall con il suo mondo così poetico e sognante e via di questo passo. Questi due, insieme a Raffaello, Toulouse-Lautrec e Monet, sono i miei artisti, ma è forse meglio dire geni preferiti.>>.

Alessandro, addentriamoci ora nello specifico delle tue ricerche, contenute in questo catalogo.

<<Mi piace alternare astratto e figurativo e in questo catalogo cerco di testimoniarlo.

Sono convinto che non sono due stili così contrapposti come pensano molti. Il colore, la forza espressiva del colore, è il punto di contatto. In questo mi concentro soprattutto. Ho un approccio eclettico sui soggetti e sulle tematiche. Per citare il leggendario professor Keating (Robin Williams) del film “L’attimo fuggente”… mi piace confrontarmi con “tutto quello che ha una scintilla di rivelazione”>>.

Concentriamoci sul tuo modo di operare: come nasce un tuo quadro?

<<All’inizio della mia attività partivo da qualche quadro famoso e lo interpretavo alla mia maniera, poi ho allargato lo sguardo a immagini anche banali che mi colpivano su internet. Questo per quanto riguardava la produzione figurativa. Per quella astratta l’impulso è molto più intimo ed emotivo. In base allo stato d’animo modulo la forza degli schizzi di colore e del dripping, cercando di trovare l’equilibrio tra tutte le parti.

Fare un quadro astratto è molto più complicato di quello che si pensa: ti accorgi subito se esprime ciò che senti ed è molto più difficile da “correggere” rispetto al figurativo>>.

Bene, che ne dici di fare una “lettura” di qualche quadro che ritieni particolarmente degno di nota?

<<Una delle mie opere che apprezzo di più è “I love Toulouse-Lautrec”, un sentito omaggio al grande pittore della Belle époque. Riprende uno dei suoi capolavori e uno dei dipinti che ho amato maggiormente, la “Toeletta” del 1889, conservata al “Musée d’Orsay” di Parigi. Esprime intimità, tristezza e desolazione. Un mondo di poesia trasferito in una tela di piccolo formato. Il suo capolavoro. Il mio umile omaggio parte dalla figura della ragazza, ripresa di schiena, una delle pose che amo di più, e lo completo con uno sfondo scuro animato da una serie di schizzi di colore che vogliono avvolgere e abbracciare la sua tristezza>>.

Vuoi citare qualche altra tua opera?

<<Con piacere. Un altro dipinto che mi emoziona è “Midnight in Paris”. Un romantico bacio notturno in una piazza parigina. Il mio omaggio in questo caso è cinematografico in quanto riprende una scena dell’omonimo film di Woody Allen, il capolavoro della sua fase matura. Mi piace il fondo graduato su sfumature ottenute da vernici spray. Mi piace pensare di aver rispettato la poesia espressa in quel frangente del film. Infine voglio citare “Silver heart” come esempio ben riuscito che spazia tra figurativo e astratto. Un semplice cuore d’argento (ho usato lo spray), un fondo grigio notte e gli schizzi gialli. Il tutto rispettando l’equilibrio della composizione. Devo ammettere che rimane uno dei miei preferiti>>.

A cosa si deve la scelta dei tuoi temi e del tuo stile pittorico?

<<I temi sono tratti dalle mie passioni: cinema, artisti che amo, immagini che mi colpiscono. Ho una predisposizione per le figure femminili riprese da dietro mentre osservano l’orizzonte. Le trovo poetiche, misteriose e seducenti. Torno spesso su questo tema>>.

Nei tuoi quadri ci sono valori, allegorie, moralismo, filosofia, letteratura, provocazione, problemi del bene e del male, anche in rapporto al destino umano o altro?

<< No, ho un’ispirazione molto spontanea e poco meditata. Mi basta imbattermi in un’immagine che mi suggerisca qualcosa… è molto istintivo, contingente, sensoriale. Nei miei quadri, accanto alla mia semplice firma, incollo sempre un cuoricino di plastica che è il simbolo dell’amore e il rispetto con cui mi approccio a questo meravigliosa espressione dell’animo umano: l’amore per l’arte. Questo è il valore che mi muove e che voglio esprimere>>.

Da dove trai stimoli ed ispirazione per la tua creatività?

<<Internet, film, quadri…>>

Aggiungi anche un apporto fantastico o ironico ai tuoi temi?

<<Mi piacerebbe approfondire questo aspetto… non l’ho ancora sviscerato come meriterebbe>>.

E con il colore che rapporto hai?

<<Rapporto totale. Nel senso che è il vero e unico protagonista dei miei quadri. Modularli, miscelarli, lavorarci. È emozionante. Non amo troppo il disegno, infatti spesso è solo abbozzato, sono impaziente, voglio passare subito a stendere il colore>>.

Dove collochi la tua pittura?

<<Nel profondo della mia anima. Quella è la sua casa>>.

Sei pago dei risultati raggiunti anche in questo campo?

<<Nella serena consapevolezza di essere solo un umile dilettante, rispondo: moltissimo. Li adoro. Mi fanno compagnia. Sono un autodidatta assoluto e mi piace esserlo. Comunque, ammiro tantissimo molti artisti che invece fanno della tecnica e dell’assoluta precisione il loro tratto distintivo>>.

Qual è il senso di fare pittura oggi, secondo te?

<<Valgono ancora le parole di Einstein: “Uno dei motivi più forti che conducono gli uomini all'arte e alla scienza è la fuga dalla vita quotidiana con la sua dolorosa crudezza e la tetra mancanza di speranza, dalla schiavitù dei propri desideri sempre mutevoli”. L’arte è per me un rifugio consolante alle tristezze della vita>>.

Personalmente, dopo uno sguardo d’insieme ai tuoi quadri, li ritengo tecnicamente molto riusciti, anche se hai iniziato da poco a dipingere e senza maestri. Tu che ne dici?

<<A me hanno dato tanta gioia, il fatto che sono piaciuti a diverse persone è motivo di soddisfazione>>.

Nelle tue opere concorrono figurazione e astrazione. Dove finisce una e inizia l’altra?

<<In molte opere cerco di farle convivere: inserisco un elemento figurativo e poi scelgo i colori, l’intensità e la variabilità degli schizzi in base all’effetto che voglio>>.

In generale, che impressione cerchi di suscitare in chi osserva i tuoi dipinti?

<<Piacere>>.

Come ha influito su di te l’esperienza artistica e culturale dell’Ossola? Ti incontri con amici scrittori, pittori, artisti, critici locali o di altre zone?

<<Mi piace la tradizione ossolana che si è concentrata soprattutto sul paesaggio e non poteva essere altrimenti, visto gli incantevoli scenari che ci circondano. Purtroppo non ho molti contatti e mi spiace per questo. Conosco i maestri Ugo Pavesi e Roberto Antonello. Li ammiro tantissimo. Mi piace molto anche l’opera di Crivelli, anche se non lo conosco personalmente>>.

Nella tua pittura, oltre che sotto l’aspetto artistico, mi pare ci sia anche un afflato religioso, mistico, filosofico o sbaglio?

<< Mah, qualcuno dice di sì; penso che quando si scrive, si dipinge o si è impegnati in un qualunque processo creativo sia inevitabile che le proprie convinzioni religiose o filosofiche influiscano in qualche modo nell’esecuzione e nel risultato finale. Non si possono reprimere certi sentimenti, fanno parte di noi>>.

Entriamo ora nel vivo dei contenuti su cui stai lavorando.

<<Mi sto concentrando molto sul cinema e su alcune immagini iconiche. Un mio recente dipinto riprende la celebre locandina di Casablanca. L’ho trasfigurata a colori. Piu volte ho preso Charlot come modello. Ecco, in questa fase mi piace molto questa commistione tra le arti. Quando dipingo ascolto quasi sempre musica classica, Mozart su tutti>>.

Racconta degli incontri importanti che hanno dato, nel tempo, la svolta a questa tua ulteriore passione.

<<Purtroppo più che un incontro è stata la mancanza di mia madre a determinare la svolta per intraprendere questa disciplina>>.

Per tornare alle opere: ti senti di essere arrivato, in quest’ultima fase di lavoro, a un livello di soddisfazione e appagamento interiore?

<<Molto appagato e con tanta voglia di continuare>>.

Hai già esposto in una mostra, ma questa che hai intenzione di proporre è la tua prima impegnativa personale, con anche la presentazione di questo catalogo. A proposito, cosa ci dici?

<<La prima mostra al circolo Acli di Villadossola mi ha molto divertito e devo ammettere che ho avuto dei riscontri assai interessanti; la prossima personale, sempre a Villadossola ma allo spazio Arte del Teatro la Fabbrica, deve mostrare qualcosa di più consapevole e meno timido. Negli ultimi mesi mi sorprendo per la velocità con cui finisco certi lavori, segno di una chiarezza di idee e di una maggiore sicurezza. Inoltre non mi faccio condizionare dagli apprezzamenti positivi o da qualche critica. Vado avanti lo stesso.>>.

A questo punto, soffermiamoci brevemente sulla tua produzione. C’è già un mercato dei tuoi quadri e hai già dei collezionisti? Dove in particolare?

<<Grazie a qualche collega di lavoro ho piazzato diverse opere in Germania e in Svizzera, oltre che nella mia Ossola. Gratificante>>.

Qualche domanda in generale

Alessandro, passiamo ora a domande meno specifiche. Senza la scrittura e l’arte, cosa sarebbe la tua vita?

<<Una vita in bianco e nero (colori che odio, come puoi immaginare tu che sei juventino)>>.

Qual è la tua visione del mondo e dell’arte? Il tuo essere intellettuale, il tuo stile di vita?

 <<Coltivare le proprie passioni è il modo migliore per rimanere giovane. Il mio ideale di felicità è una casa in riva al mare, un libro tra le mani e la musica di Mozart in sottofondo. Banale, lo ammetto>>.

Quali sensazioni provi sotto l’effetto dell’ispirazione e mentre prepari le tue opere, siano esse letterarie o pittoriche?

<<Un’eccitazione indescrivibile. Mi sento vivo>>.

Che significa essere scrittore e artista oggi?

<<Per me significa esprimere quello che ho dentro. È necessario, terapeutico e anche divertente>>.

Secondo te, la letteratura, la poesia, la musica, la pittura, insomma l’arte in genere, che funzioni hanno, in senso più ampio?

<<In questo mondo hanno la funzione di dare un senso più alto e vero ai nostri giorni dominati da una visione della vita sempre più triste e crudele; viviamo in un mondo molto più chiuso, meno aperto alla diversità, all’incontro, alla speranza. Più che in una crisi economica, siamo immersi in una vera e propria crisi sociale. Basta un paio di minuti sui social per rendersene conto>>.

Ti sembra opportunamente divulgata l’arte e la letteratura contemporanea in Ossola?

<<Assolutamente no. Le poche opere meritorie, i pochi eventi culturali messi in atto, e ce ne sono stati, non hanno ancora creato un sistema organico e duraturo di divulgazione; mi pare che si viva di singole iniziative che si spengono una volta esaurite>>.

Per essere, nel contempo, scrittore e pittore, di quali abilità si deve essere dotati?

<<Amare la lettura e la bellezza, ma soprattutto avere uno stretto rapporto con la solitudine>>.

Tu sei autodidatta in tutto, ma hai studiato e letto molto, ai giovani che volessero intraprendere queste strade, cosa consigli? Secondo te serve frequentare scuole di scrittura e di pittura?

<<Per la scrittura la vera scuola è leggere, leggere sempre, leggere tutto. Per la pittura bisogna osservare, osservare sempre, osservare tutto. Dipende, comunque, dall’approccio e dalle motivazioni con cui si intraprendono queste discipline. Avere un maestro è sempre salutare>>.

Hai progetti per il futuro, in ambo le passioni?

<<Ho tante idee, comunque continuando con queste passioni, mi piacerebbe anche un contatto con il mondo del cinema… qualcosa forse bolle in pentola>>.

Puoi anticiparci qualcosa?

<<C’è un progetto di cortometraggio tratto da un mio racconto. Sarebbe davvero interessante… speriamo…>>.

Non dirmi che coltivi anche una passione musicale e che un giorno lo dimostrerai pure professionalmente. Tra l’altro mi sembra di notare che il tuo linguaggio e il tuo modo di dipingere siano molto affini a quello della musica.

<<Uno dei rimpianti della mia vita è non sapere suonare. Un grande dispiacere perché adoro la musica. Classica soprattutto, ma anche rock>>.

Puoi offrirci un pensiero sulla vita?

<<Posso citare una frase in cui mi ci ritrovo tantissimo e che riassume questo momento della mia vita: “Volevamo cambiare il mondo, ma il mondo ha cambiato noi”. (C’eravamo tanto amato, 1974, Ettore Scola)>>.

Dei giornalisti o meglio di chi lavora nell’informazione, cosa ne pensi? Cosa pensi del rapporto tra l’arte e i media, dei critici, degli operatori culturali, dei galleristi, degli editori?

<<Non ho molti contatti per poter formulare un’opinione. Con i pochi con cui mi confronto mi trovo molto bene, ma sono una persona piuttosto riservata negli ultimi tempi>>.

Il rapporto dei nostri intellettuali con il territorio come ti sembra?

<<Poco efficace forse; non si sono create sinergie tali da poter influire sul territorio… non ne conosco molti. Ricordo la delusione e la poca considerazione che registrai in occasione del centenario della nascita di Gianfranco Contini, una gloria intellettuale del nostro territorio. Qualche articolo distratto, qualche celebrazione poco sentita… meritava ben altro…>>.

Come vedi il rapporto istituzioni e cultura nella nostra provincia?

<<Manca forse un progetto e un’idea comune. Ci si divide su tutto, anche sulla cultura. In generale però, nonostante le buone intenzioni elettorali, si fa ancora troppo poco>>.

Come ritieni che possa sopravvivere, a livello locale, la nostra società e il nostro mondo intellettuale?

<<Valorizzando le eccellenze del territorio che sono tante, ma a volte poco conosciute e apprezzate. Per esempio abbiamo monumenti eccezionali come la chiesa monumentale di Baceno, le chiese romaniche, tra cui svetta San Bartolomeo, il cui campanile fu giudicato da un grande storico di architettura inglese come “il più bello dell’Italia Settentrionale”; siamo circondati da bellezze ambientali mozzafiato, abbiamo tradizioni folcloristiche affascinanti… eppure non siamo certo famosi per l’accoglienza turistica e la capacità di attrarre visitatori>>.

Mondo laico, sociale e politico, da una parte, pensiero religioso, culturale, intellettuale e artistico dall’altra, tu come li vivi?

<<Male, perché ho una formazione totalmente cattolica e un pensiero molto condizionato da essa e quindi spesso mi sento un relitto di un passato che, sinceramente, non ho tanti motivi di rimpiangere>>.

Per finire. C’è qualche altra eventuale risposta a cui vorresti che ti ponessi una domanda? … Ah, ho capito! Quando rivincerà il “triplete”… o almeno qualche nuovo titolo, la tua Inter?>>.

<<Presto, spero>>.

Per concludere, caro Alessandro, ti auguro buon lavoro per quello che farai dopo questo primo catalogo.

Giuseppe Possa

 

L’ultima fatica letteraria di Rocco Cento: “Vietato morire” (Romanzo edito da Mnàmon di Milano)

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DOMODOSSOLA – Rocco Cento, da giovane fu anche assessore alla cultura di Domodossola, città dov’è nato nel 1954. Dall’inizio degli anni Ottanta al Duemila, aveva già dato alle stampe tre raccolte di poesie e due libri di prosa. Ora, a distanza di tanti anni, molti dei quali trascorsi in Francia, la Casa Editrice Mnàmon di Milano gli pubblica, in cartaceo e in e-book, un romanzo, “Vietato morire”, pregnante e doloroso, sebbene l’ironia serpeggi tra le storie che racconta, che s’intersecano e che lasciano chiari sottintesi anche alla nostra storia locale. Lo ha scritto negli ultimi cinque anni, in un linguaggio scorrevole, ma articolato nella sua complessità narrativa, di tono futurista, con elaborati e riferimenti di spessore intellettuale.

È la storia di un’insegnante che vive la condizione assurda, di chi pensa a una vita immortale, eterna, ma possibile solo sotto altre forme. Nel frattempo, appartiene a una comunità in cui è perseguitato, maltrattato dai suoi studenti, che lo accusano di pedofilia. In uno scontro con uno di loro, quest’ultimo vilmente colpito, cade accidentalmente da una finestra; portato in ospedale, muore. In obitorio ritorna in vita, nudo, poiché proprio in quel momento esce un’ordinanza che fa divieto di morire, “Vietato morire”, appunto.

Perché questo titolo? chiedo a Cento: <<Amo i paradossi. Interpreto la vita in questo confine e orizzonte. Ho ribaltato le paure umane, con un divieto, attribuito da un’ordinanza sindacale, che impedisse la morte ai viventi. Anche per le difficoltà che la salute pubblica incontra: troppo cara. Quindi, il sindaco, esasperato, ne fa divieto. Se morire è vietato, le cure, gli ospedali divengono inutili. Particolarmente nelle periferie, nelle piccole province. Una bella economia se non muore più alcuno, nemmeno gli animali. Niente “coronavirus”, niente Big Farma, nemmeno pompe funebri, un disastro colossale per l’umanità, una noia “mortale”, insostenibile>>.

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Una sfida audace? <<Non credo, in letteratura tutto è possibile, benché la realtà superi di gran lunga arte e fantasia umane. Ho creato un paradosso estremo, tentando di starci dentro, anche nel linguaggio>>.

Quindi? <<Posso dire, per concludere, che l’ambientazione è ossolana, domese. C’è la città, dentro, il carnevale, l’ospedale, la follia di tutti noi, la quotidianità, la scuola, i suoi problemi, i rapporti umani, lo spiritualismo, la religione, lo spiritismo, anche estremo, l’esperienza di premorte, da me effettivamente provata>>.

Prima mi accennavi ai tuoi autori di riferimento, che dicevi, per l’italiano, fossero Gadda e Pizzuto: approfondendo, potresti meglio precisare? <<Beh, Gadda non ha certo bisogno di prove ulteriori, possiede una letteratura critica sconfinata, a lui giustamente riservata. Diverso, il discorso su Antonio Pizzuto, pure per me importante, decisivo. Non a caso la monumentale opera critica del professor Gianfranco Contini, nel terzo e ultimo volume, si conclude con questi due autori. Dei due, Pizzuto è l’ultimo, la chiusura, la pietra tombale. Ho sempre trovato ciò per nulla casuale, dato lo spessore del critico letterario, di Gianfranco Contini. Basti pensare che il professor Contini, preoccupato del mancato riscontro della critica militante, verso Pizzuto, della totale assenza di riconoscimenti, di premi letterari, se ne inventò uno, pensato per Pizzuto. “Ferro di cavallo”, assegnato da Agnese De Donato, titolare dell’omonima galleria d’arte. La giuria era composta di sole donne. Era il 27 gennaio del 1967>>.

Bene, ma come ti riferisci tu a questo pilastro della letteratura italiana? <<Giuseppe, il confronto mi spaventa, mi turba, è immeritato, lo dico senza ipocrisia. Di Pizzuto, narratore, critico, avanguardia, futurista, per la definizione che ne dà lo stesso Contini, il discorso diverrebbe interminabile. La sua prosa è una scintilla di bellezza pura, un diamante rarissimo. Lui stesso affermava di sé che nei suoi scritti era impossibile trovare ripetizioni, neppure più di un “sul”, di un “del”. Tanto per rendere l’idea. Poi la distinzione che lui stesso fa tra “narrare” e “raccontare”, la completa soppressione, esclusione, del passato remoto. In un siciliano, incredibile, anche solo per questo. Basti ricordare che i verbali di Pizzuto, ancora vicequestore a Trento, ricordava Contini, erano tra le letture elette di De Gasperi, per l’altissima qualità di quel suo coltissimo linguaggio, passando poi per Bolzano, da questore, e infine ad Arezzo, dove nel 1949 finirà la sua carriera>>.

E tu? <<Con simili “ascendenti” mi sono sempre sottoposto a una scrittura sorvegliata, alta, illogica, come paradossali sono i temi, le antinomie nei quali si sviluppa la mia lingua, la mia scrittura, il mio pensiero>>.

Per concludere, Rocco: approfondisci maggiormente, perché è “Vietato Morire? <<C’è uno iato, una discontinuità incolmabile, tra ciò che è reale e ciò che è razionale. Hegel non ha affatto ragione, come la più parte dei filosofi sistematici. Io ho voluto parlare di questo. Ho posto un paradosso, che in breve si può esprimere con l’immortalità, l’eternità in “vita”, l’ho esplorato, vietando la morte, mettendola nell’angolo, sconfitta, per scoprire, com’era ovvio, la necessità della vita carnale, corporale, il dolore liberatorio, la ragione delle religioni positive, la profondità, il paradosso stesso, della consuetudine, della tradizione, della vita, la giustezza, l’estrema necessità della morte. Ho avuto esperienze di premorte, fortuna e sfortuna allo stesso tempo, sfortuna, direi, più che fortuna, poiché segnano, scrivono il destino, modificano, intervengono in modo sostanziale nello svolgimento della vita di un essere umano>>.

Giuseppe Possa

Incontro con Gabriele Cantadore nel suo studio “fucina”

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La mostra personale "ALP underground" di Gabriele Cantadore sarà inaugurata venerdì 7 agosto alle ore 17,30 nella sala polifunzionale  di Toceno (l'esposizione è visitabile tutti i giorni fino al 23 agosto, nella Casa Parrocchiale in piazza della Chiesa di Toceno, nei seguenti orari: 10-12 e 16-18. Chiuso il 15 agosto)

prefazione di Giuseppe Possa al catalogo

116584493_10224397268698137_4947409760728267906_nPer tracciare un “ritratto” artistico di Gabriele Cantadore, sono salito in Valle Vigezzo, “la valle dei pittori”, a Toceno, nel suo studio “fucina”, posto in una costruzione ai limiti del paese, a cui si accede tramite una scala ripida e un po’ stretta. È un ampio locale, con sottotetto a vista e due piccoli soppalchi. Una grande vetrata lo illumina e permette di accedere al balcone, dall’alto del quale si ammirano le montagne circostanti e tutta la vallata. È qui il suo ambiente creativo, dove vige un apparente disordine, ma ci sta pure un soffice divano su cui egli si accomoda in riflessione, quando vuole controllare l’opera “in fieri”, che lavorata in posizione orizzontale sul pavimento, per l’occorrenza, viene appoggiata su un cavalletto. Oltre i materiali di recupero (legni consunti dall’uso e dal tempo, lamiere corrose, ferrami e oggetti disparati), ci sono gli innumerevoli quadri già realizzati, appesi alle pareti o sparsi per terra, tra gocciolamenti e macchie. “Convivono”, sparpagliati un po’ ovunque, colori acrilici, spray, bidoncini di “marmoran”,  plastiche e cellofan di diversi formati, ceneri e sabbie contenute in secchielli, vetri spezzati; oltre agli strumenti abituali o insoliti che l’artista utilizza per i numerosi collage, tagli, assemblaggi e bruciature (coltelli, spatole, falcetti e accette di varie misure, cazzuole, taglierine, motosega e sega elettrica, trapani, un fornello, un cannello con bombola a gas, spazzole, pennelli, pennellesse e altri oggetti).

In questa confusione, lo sorprendo indaffarato e dopo gli usuali convenevoli, mi guardo in giro stupito, e lui mi anticipa informandomi che sta lavorando su una complessa tecnica mista, dove tra la vetustà dei materiali scelti, strappati, lacerati, bruciati o liquefatti e tra tonalità scure, con predominio del nero, si demarca protagonista una mucca, che dal centro domina i larghi fondali da cui la figura emerge.

Come per schermirsi, mi precisa subito che è un autodidatta, ma puntualizza: <<Avevo uno zio, soprannominato il Giuaca, che disegnava delle piacevoli scene di vita alpina concantadore 3xc ogni sorta di animali rurali, ma già dall’infanzia, ancora prima di frequentare le elementari, mi piaceva scarabocchiare con matite e pastelli. Certo, forse, quelle sue espressioni hanno preso consistenza nel mio immaginario, ma mia mamma faceva pulizia nella casa della famiglia Bona e mi portava sempre con sé. Alle pareti c’erano tanti quadri dei grandi pittori vigezzini e io restavo estasiato a guardarli. Probabilmente è da lì che ho cominciato a mettere insieme i colori, nel tentativo di imitarli. Ho poi saputo, in età adulta, che si trattava di tele del Fornara, del Ciolina, dei Giorgis, del Rastellini, del Peretti e di tanti altri>>.

Gabriele ha poi proseguito negli studi, fino a frequentare anche i corsi della scuola Enaip di Domodossola, la città dov’è nato nel 1977. Non era, però, molto portato per lo studio, per cui fu presto avviato al lavoro in loco: dapprima in una fabbrica di lattoneria; in seguito e per alcuni anni come muratore; infine, con maggiori responsabilità, sempre nel ramo edile, nella vicina Svizzera, dove tuttora opera. <<È proprio grazie alla manualità delle mie professioni artigianali>> spiega, <<se oggi ho acquisito una tecnica artistica che mi permette di portare a termine creazioni così complesse. Prima, comunque, per passione avevo già dipinto paesaggi della nostra tradizione su tela; in un secondo tempo, osservando in particolare la pittura di Antonio Gennari, ho realizzato pure temi umani dai toni espressionisti e ho iniziato a comporre i primi collage, inserendovi ritagli di giornali o elementi fotografici >>.

Dal 2010, però, Cantadore ha intrapreso questa complessa e riuscita ricerca che lo ha imposto alla critica oltre i confini ossolani, con esposizioni in città del Nord Italia e in Spagna, ottenen116375704_10224397278298377_3766117168297015093_ndo anche premi e riconoscimenti importanti. <<Da allora, non uso più le tele>> afferma, <<i miei supporti sono ripiani di legno, lamiere, plexiglass, carton-gesso. Su tavole incollo, inoltre, juta, carta catramata, cellofan e mescolo colori acrilici, catrame, plastica bruciata. Intarsio, ritaglio o incido figure di animali legati al mondo contadino, sovrappongo e impongo le mie tracce utilizzando sabbia o scavando linee e graffi dentro quel magma lavico che si forma>>.

I suoi quadri contengono sagome arcane, primordiali, con energie sprigionate da una natura germinativa, pastosa, grumosa e intricata: essi, anche se appaiono terrosi e laceranti, sono assemblati con gesti fisici istintivi, quasi ritmati e con una tensione vigorosa che parla al cuore. <<Non a caso>> sostiene, <<mentre sono intento nella realizzazione dei miei lavori, ascolto musica rock, o registrazioni di armonie o rumori naturali, come il fuoco, l’acqua, i campanacci, il sibilare del vento, che mi danno una carica interiore>>.

Nel frattempo, guardiamo un documentario di Matteo Ninni presentato al Working Title Film Festival di Vicenza, dal titolo “Di acqua, di fuoco e quello che resta”, in cui il protagonista è appunto Gabriele, colto in vari momenti del suo operato, all’internocantadoreer dell’ambiente che lo circonda e degli alpeggi che lo hanno visto pascolare e accudire le mucche da ragazzo. Nell’osservare - in questo filmato - l’artista di Toceno mentre scava o incide, sulle superfici delle sue opere, segni particolari, vortici misteriosi e impenetrabili, quasi filiformi riverberi di sfoghi nervosi, misti a un’eccitazione creativa per l’incredibile tensione emotiva che producono, mi viene spontaneo chiedergli cosa essi significhino per lui. Mi guarda sorpreso, poi precisa: <<Non so darti una spiegazione razionale; forse sono misteriosi tratti incisivi, vaghe forme geometriche, che vedevo in vecchie baite. Non so dirti se hanno un qualche consistente o impenetrabile motivo: io li ho presi quali segni di presenza, valori umani remoti, che probabilmente sento dentro di me simili a intense ferite interiori>>. Come se l’autore fosse preso da un’ansia, da una volontà di difesa, dalla commozione di chi è tutto intento a scandagliare un proprio patrimonio intimo, nutrito di ricordi e di sentimenti, in cui ritrovare la più profonda ragione di sé e della propria esistenza.

In tal senso, si potrebbe definire la ricerca di Cantadore come una sorta di “archeologia del presente”: uno scavo continuo nel serbatoio delle percezioni emozionali, sedimentate nella memoria collettiva locale, che appartiene al nostro passcantadore 2xato, che purtroppo sta perdendo la propria identità, ma indagato e “reimpostato” in relazione al “qui e ora”. L’artista, infatti, sembra raccogliere dentro di sé simili energie antiche, che lo spingono a impastare sui supporti queste ritagliate, scolpite, geometricamente stilizzate, figure di mucche, asini, pecore, capre: <<A me piace>> prosegue, <<“ritrarre” il bestiame, forse un ritorno alla mia infanzia, quando da bambino salivo all’alpe e quindi un desiderio inconscio di dare valore a questa cosa>>.

La presenza umana è quasi superflua, sottintesa, anche se qua e là appare con sfuocate immagini ridotte a puro effetto grafico o semplice traccia di ombre. Lui aggiunge che non è necessaria: <<Anzi, là ove ho inserito donne o uomini paiono pressoché bloccati, simili a roccia, mentre gli animali li faccio scorrazzare, saltellare, liberamente>>.

Di questa cultura alpina, del lavoro negli alpeggi, rimangono solo le testimonianze e i materiali in disuso, che hanno perso la capacità di assolvere il compito a cui erano destinati e ora utilizzabili solo per “un’arte povera” o per i musei che conservano tutto il malessere di tale ormai triste realtà: muri che cadono - con le travi, le piode, la ferraglia - all’interno delle baite che l’uomo lentamente ha abbandonato alla decadenza, perdendo di vista il passato e le proprie origini.

Tutto ciò costringe i visitatori di questa mostra a un diretto confronto con l’oggi e con le sue problematiche anche sociali; dall’altro, di interpretare le immagini che sembrano quasi icone fuori del tempo, seppure per ora a noi ancora familiari.

Sin da principio la ricerca estetica di Cantadore si caratterizza per il recupero delle radici “arcaiche”, che sono poi alla base della sua stessa espressione plastica. Così le sue opere, ora composte con legni, pietre, sabbia, cenere e amalgamate con bruciature di plastica, cellofan, plexiglass, sono capaci di dialogare, come pitture rupestri, per quel conservare intatto il loro mistero, sfuggendo a qualsiasi tentativo di chiarimento, restando ipotetici i significati e i motivi della loro esecuzione.

Sta forse proprio in questo, a mio avviso, la magia di tali ardite composizioni, presenti 116664072_10224397270458181_1824725872592667429_onell’esposizione, dai colori ombrosi, freddi o caldi, spesso dolorosi; molte venute alla luce durante il “codiv 19”, come lui stesso conclude: <<Durante il periodo di solitudine dovuto al “coronavirus”, ho avuto l’opportunità di lavorare molto, di sperimentare, però, sfruttando e utilizzando solo quello che avevo in studio, in quanto impossibilitato, a causa delle prescrizioni imposte, ad allontanarmi dal paese per fare acquisti. Ho avuto modo anche di riflettere sulle cose essenziali della vita: per mangiare bisogna coltivare la terra. Mi sono concentrato pure sull’acqua, sul fuoco; su spiritualità contrapposte tra l’angelo e il diavolo, tra il bene e il male; sulla conoscenza della materia con la sua sorda, confusa e contraddittoria vitalità>>.

Cantadore ha raffigurato il bestiame, qui evocato in trasparenza, scavato o applicato a “silhouette” nei quadri, come se si trovasse nel proprio “eden” esistenziale, reso però buio dall’aridità di una magmatica combustione plastica senza luce e lacerata da bruciature fulminee, a rappresentare l’abbandono delle terre di montagna, di un’esistenza che grazie agli allevamenti di bovini, ovini o caprini ha permesso alle civiltà alpine di sopravvivere in una dura realtà, tuttavia straordinariamente pregnante e vivace.

I materiali “poveri” più disparati impiegati da Gabriele - intesi nel loro “recupero” funzionale, da utili per uno scopo concreto a trasformazione artistica - finiscono per esprimere precisi valori di comunicazione, attraverso graffiti, segni primitivi o archetipi, tracce ch116380811_10224397184536033_8311421450344937735_ne rivelano, appunto, presenze di animali e di incerte presenze umane. Valori espressivi, dicevo, in quanto mettono in risalto la “necessità interiore” dell’artefice di queste stesure quasi monocrome, il quale in pratica, evidenziandone la continuità, ne indica un impiego nuovo.

Forse, viene smitizzata l’arte cromatica e “en plein air” della tradizione locale precedente, ma si avvicina alla realtà di oggi, simbolica e allegorica: sulle montagne abbandonate dall’uomo, la natura si riprende il suo spazio selvaggio e i suoi animali selvatici. Cantadore, a mio parere, ha cercato e sta proponendo una rinnovata poetica, una “poetica altra”, che sia ricordo e partecipazione, le cui caratteristiche principali sono rispettivamente rappresentate dalla macchia in forma pastosa e dal segno incisivo, dal fuoco e dall’acqua, dalla terra e dall’etereo: fedele testimonianza della fine di una cultura alpina, per la quale l’autore ha qui fuso, in simboli visivi, immagini della natura, della memoria e dell’inconscio. Mentre i colori splendenti, dei vigezzini del passato, come per metamorfosi, li ha sostituiti con le tinte delle ferite buie dell’anima contemporanea.

Giuseppe Possa

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Mostra allo Spazio Moderno di Arona dal 29 agosto al 13 settembre

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Con la personale di Giancarlo Fantini, i quadri di Patrizia Pollato, alcune sculture di Paolo Panizzon, gli acquerelli di Paola Battaglia, i lavori in legno di Matteo Lunghi e le poesie appese di Moka (Monica Zanon)

ARONA – Sabato 29 agosto (ore 16) allo Spazio Moderno, Via Martiri della Libertà 38, di Arona sarà inaugurata la mostra personale “500… quasi” di  Giancarlo Fantini, insieme alle opere della pittrice Patrizia Pollato, alcune sculture di piccolo formato di Paolo Panizzon, una serie di acquerelli e tecniche miste con fiori e paesaggi di Paola Battaglia, i lavori in legno di Matteo Lunghi e una serie di poesie di Moka (Monica Zanon) appese accanto ai quadri di Fantini, a cui si è ispirata. La mostra (presentata da Giuseppe Possa) sarà visitabile tutti i giorni dalle 16 alle 19; sabato e domenica anche dalle 10,30 alle 12,30. All’interno del programma espositivo, sarà ospitato anche un momento culturale: sabato 12 settembre, alle ore 21, si svolgerà la Premiazione del concorso LetterALPoetico Fotografico Homo Vacuus.

GIANCARLO FANTINI, in queste opere trae maggiormente ispirazione dalla bellezza della natura che dipinge con le raffinate cromie della vegetazione, la quale non sempre fiorisce contemporaneamente, per cui lui a volte si prende delle “licenze” poetiche. Il tema del paesaggio – concepito come una soglia fra visione realistica e sublimata, rappresentata da una riflessione sul senso trascendente dell’universo – è realizzato con atmosfere e colori assai curati che lo sottraggono e, guardandoli, sottraggono anche noi, almeno per un attimo, dalla frenetica vita quotidiana. Le immagini di Fantini cercano spazi e luoghi definiti, tutti conosciuti ed esplorati, e sono dipinte sempre come trasfigurate da uno sguardo subliminale. Ma come opera l’artista? È lui stesso a spiegarcelo: <<Generalmente, oltre ai materiali tradizionali, ne utilizzo altri, come sabbia, segature, argille, tessuti, metalli, che spesso prelevo sul luogo soggetto dell’opera, con lo scopo di rendere più consistenti i volumi e le prospettive, sempre nel rispetto dell’ambiente in cui è stata scattata la foto a partire dalla quale, quasi sempre, realizzo il mio lavoro>>. Le sue armoniche ricerche vanno dai boschi alla montagna, dagli ambienti magici, ai fenomeni atmosferici (come per esempio i temporali o particolari e affascinanti tramonti), dalle onde imperiose del mare o quelle più distese del lago; all’acqua in generale, quale elemento primordiale e prezioso, che egli rappresenta in modo raffinato, in particolare, nei riflessi, nelle innumerevoli sfumature coloristiche presenti nelle trasparenze e nei riverberi. S’intravede, insomma, nella pittura di Giancarlo Fantini, il continuo cammino che egli intraprende nell’essenza della flora e della fauna che gli sta intorno, nella bellezza di un ambiente da rispettare e conservare per le future generazioni.

In questi giorni mi sono recato nello studio di Fantini (nato ad Arona nel 1954, professore in quiescenza  dopo 40 anni di insegnamento all’Istituto Agrario di Crodo nel VCO. Nel 2003 ha fondato l’associazione ArteAdArona, di cui è l’attuale presidente; nel 2009 ha recuperato e restaurato l’ex cinema Moderno, trasformandolo nell’attuale spazio artistico) e così ne ho approfittato per proporgli alcune domande.

Da dove prendi ispirazione per i tuoi quadri?

<<Se qualcuno mi ha definito pittore-giardiniere un qualche motivo ci deve pur essere: il mio amore per le piante è infatti pari a quello per i colori. Perciò è dalla natura che prendo spunto: di fatto, soprattutto ora che col telefono puoi scattare infinite immagini, quando vedo qualcosa che mi “attizza” faccio un po’ di foto che successivamente, magari anche a distanza di anni, elaboro e traduco in colori sulla tela. Da Professore di piante non mi sono mai limitato a guardare il verde, ma ad analizzare, da lontano e da vicino i particolari che rendono ogni specie o, meglio, ogni individuo, differente dagli altri suoi simili o di diversa specie: ciò significa conoscere le strutture, cioè le regole che costruiscono i corpi vegetali e regolano la loro esistenza. Ecco allora che anche nel dipingere la natura ho imparato un po’ di regole, disegnando il minimo indispensabile, ma cercando di accostare con sapienza e pazienza colori e altri materiali>>.

In pratica, da dove inizi e poi come sviluppi e concludi ogni opera?

<<Parto sempre da una (o più) foto e con l’ausilio di una serie di “mascherine” che passo sopra l’immagine decido se sulla tela riprenderò l’intero soggetto o solo delle porzioni di quella carta colorata chimicamente. Siccome porto avanti più opere contemporaneamente, per ognuna realizzo una scheda di lavorazione a partire dal titolo e dalle misure. Successivamente traccio poche linee essenziali per favorire al meglio la visione finale, il tutto secondo il principio per cui “nulla è come sembra”.  Precedentemente avevo già deciso se usare solo i colori a olio oppure anche altri materiali che prelevo dalla mia collezione di terre, sabbie, segature (e altro).  In conseguenza di queste scelte, finalizzate ad aumentare spessori e profondità e/o a mettere nella tela una porzione di materiale prelevato nel luogo raffigurato, dipingo con modalità ben diverse e non consuete: i diversi tempi di asciugatura e il rischio di “contatti” indesiderati mi costringono ad aumentare la pazienza e a dipingere contemporaneamente le porzioni di tela coperte dallo stesso materiale.  Alla fine, quando tutto è ben asciutto, metto la vernice finale fissativa in quantità variabile, secondo il materiale e, soprattutto, il suo spessore>>.

Che genere di opere esponi in questa mostra?

<<Un’ottantina di opere realizzate in anni e momenti diversi e, comunque, tutte quelle prodotte e/o terminate nell’anno in corso. Il tutto in uno spazio espositivo molto intrigante qual è lo “Spazio Moderno” che ho realizzato una quindicina di anni fa e con un allestimento che, in questa occasione, divide le opere secondo gruppi… naturali, come sono il bosco, le cascate, la magia, il temporale, le onde e altri da scoprire>>.

Per il futuro cosa stai preparando?

<<Mentre sarà in corso questa personale, come succede da tempo, ormai, deciderò il titolo della prossima. Perciò, da ottobre sarò di nuovo all’opera cercando nel mio archivio immagini e soggetti che possano stupirmi, anche e soprattutto a distanza di anni da quando li ho fotografati… sempre con due obbiettivi: condividere con più persone le cose belle che ho avuto la ventura di incontrare e renderle al massimo (dimensioni comprese) della mia percezione visiva che è…. superiore alla norma, al punto che da due anni ho eliminato gli occhiali>>.

A questo ormai storico appuntamento annuale di fine estate, con Giancarlo Fantini ci sono anche altri artisti: Patrizia Pollato fin dai primi anni e poi Paolo Panizzon, Moka, Paola Battaglia e Matteo Lunghi.

PATRIZIA POLLATO - Nasce a Milano, dove frequenta il Liceo Artistico e la Facoltà di Architettura. Sempre nel capoluogo lombardo nel 1982 avvia un Laboratorio Artistico, in cui sperimenta e affina varie tecniche artistico-artigianali, utilizzando diversi materiali. Si dedica così alla realizzazione di complemento d’arredo su commissione, trompe d’oeil in abitazioni prestigiose, vetrate artistiche, sculture, quadri e affreschi. Dal 1994 vive e opera a Nebbiuno, proseguendo la propria attività creativa e insegnando discipline artistiche. La pittrice continua a coltivare la sua passione per la pittura, dipingendo ritratti, paesaggi, nature morte, dedicandosi pure alla produzione di tante opere figurative (non disdegnando un astratto informale dentro cui appaiono forme, segni e simboli iconici). Ha ricevuto importanti riconoscimenti (tra gli altri alcuni primi premi: Trofeo Gaudenziano 2016; La via degli Artisti 2017; Arte ad Arona 2017; Arte Città di Novare 2018); ha partecipato a diverse esposizioni collettive e a manifestazioni culturali; ma, soprattutto, ha allestito alcune importanti personali, ottenendo consensi dal pubblico e dalla critica (Arona, Milano, Novara, Vercelli, Torino). Ha il suo laboratorio artistico in via case sparse per Meina, 2 Nebbiuno (No) cell.3382136495.

In questa mostra Patrizia Pollato (il cui stile è stato definito dalla critica come “eclettismo creativo”) espone soprattutto volti, dipinti con un personale e originale stile, riconoscibile soprattutto nelle sue figure femminili e nei ritratti, a cui sa donare, attraverso gli sguardi, un’anima. Padrona di una tecnica artistica multiforme e talentuosa, Patrizia afferma di sé: <<La mia arte è nell’incontro, il mio eclettismo si diverte a cogliere le migliaia di sfumature presenti nelle persone con cui vengo a contatto. Le mie idee, le mie opere, nascono dagli sguardi, nei gesti, nelle parole di tutti coloro che attraversano la mia vita. Amo intingere il pennello nella tavolozza dell’esistenza e portare sulla tela, su parete o su un semplice oggetto quell’essenza che batte in ogni cuore>>. Colgo l’occasione per proporre alcune altre domande all’artista.

Patrizia, da dove sei pittoricamente partita?

<<Fin da piccolissima ho amato impiegare il mio tempo in varie forme di manualità creativa. Ancora studente, ho aperto in Milano un’attività artigianale (tutt’ora apprezzata per l’originalità delle realizzazioni). Ideavo e realizzavo articoli da regalo, complementi d’arredo e molto altro. Esaudivo, comunque, ad ogni richiesta, dando vita a oggetti unici e personalizzati. Questa attività mi ha permesso di maturare una notevole esperienza creativa e di affinare ottime capacità tecnico-artistiche. La mia curiosità mi ha spinto nel tempo a sperimentare tantissime tecniche di decorazione: dalla ceramica al tessuto e seta, dalle vetrate artistiche ai trompe l’oeil, dalla lavorazione e intaglio del legno all’incisione, dalla grafica all’illustrazione… Ho tenuto e tengo tutt’ora diversi corsi a carattere artistico>>.

Come ti definisci, artisticamente?

<<Mi hanno sempre ritenuta un’artista “eclettica”, in quanto non prediligo uno stile o una tendenza particolare. E’ il soggetto che intendo affrontare a suggerirmi come spaziare tra espressioni artistiche che conosco… ed ecco che su una tela o su una tavola di legno convivono e si completano più tecniche. Amando anche la scultura cerco di portare quasi sempre una certa tridimensionalità ai miei dipinti>>.

Ad Arona cosa esponi?

<<Proporrò opere che raccontano il mio “eclettismo” artistico-artigianale. Soggetto principale il ritratto, che prediligo in modo parti multicolore”colare. L’intento è di esporre opere, in cui sia evidente il passaggio da uno stile decorativo e lezioso a uno più emotivo e sperimentale. Propongo anche tre lavori leonardeschi da me dipinti su “tarsia marmorea” preparatami da Enrico Fraschetti con graniti, marmo, travertini, onice e altre pietre naturali >>

Mentre per il futuro, cosa stai preparando?

<<Il mio motto è “non fermarsi mai”: sia nella ricerca che nella sperimentazione. Ho in programma diverse collettive e una mostra al castello di Novara, dove avrò un posto d’onore come vincitrice del 18° premio nazionale d’arte Città di Novara. Il mio sogno nel cassetto rimane quello di preparare una personale importante>>.

PAOLO PANIZZON - Ha 63 anni, è nato in provincia di Vicenza e vive a Somma Lombardo. Proviene da una famiglia in cui l’arte è stata una presenza forte. Dipinge da sempre, solo negli ultimi anni si è dedicato alla scultura. Non usa modelli e non decide a priori quale sarà il soggetto della sua prossima opera, lascia che sia la creta a prendere forma tramite la trasposizione della sua interiorità. Questo metodo gli permette di realizzare figure, oggetti e soprattutto volti, da cui spesso emerge un’interiorità angosciante. Di se stesso afferma: <<Il mio essere artista non ha nessuna pretesa, ma mi piace dipingere, modellare, spaziare tra i materiali e le linee; mi piace vedere prendere forma un’idea, creare un’emozione; mi piace la soddisfazione che mi dà questa mia passione. Questo sono io>>.

MOKA (Monica Zanon) - Il suo pseudonimo nasce dalla miscela del suo caffè preferito – assaporato a tutte le ore – quello dell’inchiostro. Nata nel pieno inverno del 1982 ad Arona, è indigena di Solcio di Lesa. E’ cresciuta nell’azienda agricola dei genitori, ama il paesaggio lacustre tanto che il suo carattere si riflette in esso (il Lago Maggiore è la chiave di lettura dei suoi umori): ogni giorno è diverso dall’altro. Da adolescente si approccia alla poesia e trova in essa il proprio modo di comunicare con gli altri. Per lei la poesia è in ogni cosa ed è necessaria per comprendere se stessa e il mondo. Vita e poesia per lei sono inscindibili. Moka lavora in una ditta aeronautica, gli elicotteri sono la sua seconda passione. Ha dato alle stampe alcuni libri di liriche e ha altre pubblicazioni all’attivo, sia personali che collettive. Nel 2014 ha fondato l’Associazione Licenza Poetica. Crea e collabora all’organizzazione di eventi letterari, cura il sito personale www.mokaend.com e quello dell’associazione.

PAOLA BATTAGLIA - Nata a Barletta, in Puglia, a 25 anni si è trasferita ad Arona, dove è stata un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, fino alla pensione. Già dall’infanzia, attratta dal disegno e dal colore in tutte le sue forme, ne ha sperimentate alcune, cercando di soddisfare sempre più la sua curiosità artistica e come afferma lei: <<mi sono così permessa quel piacere che ogni esperienza concede, lasciando la sua impronta>>. Ha frequentato i corsi dell’UNITRE di Arona, cominciando con quello di pittura su stoffa, poi su porcellana e ancora con la pittura a olio, acquerello, acrilico, disegno a matita e aggiunge: <<Non ho particolare predisposizione per l’una o per l’altra, scelgo al momento ciò che l’attimo mi offre agli occhi e al cuore: luce, colori, armonia, anima, ricordi>>. In passato aveva anche seguito lezioni coi maestri Carlo Monti e Pierangelo Vicario.

MATTEO LUNGHI - Residente a Ottobiano (PV), classe 1977. Così si presenta: <<Mediante l'ausilio di software grafici e di un pantografo CNC realizzo quadri artistici utilizzando principalmente legno e plexiglass; con quest'ultimo creo anche delle litofanie (immagini rese tridimensionali da una sorgente luminosa posta sul retro). Finora ho sempre puntato sulla personalizzazione e nelle mie realizzazioni propongo sempre delle novità, cercando di trasformare una semplice foto e di mostrarla sotto un'altra luce>>. I suoi soggetti sono vari: dai visi, agli animali, agli elementi architettonici, rivisitazione di opere famose, portachiavi, gadget… Lunghi lavora con la tecnica di chi crede nella propria opera, non solo in senso artigianale, ma anche con un talentuoso impegno artistico. Per info www.myatram.com.

Giuseppe Possa

 

G. Possa, G. Fantini e Patrizia Pollato

Gian Luca Pavesi: “quindici x Trenta” è il titolo della sua mostra a Domodossola

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Da sabato 4 settembre 2020, inaugurazione alle ore 17.30, nella sala SOMS (Società Operaia di Mutuo Soccorso) di vicolo al Teatro di Domodossola, Gian Luca Pavesi esporrà le sue nuove opere: “Quindici x Trenta”. La mostra, visitabile fino al 13 settembre (orario: 16,30-21,30; sabato e domenica anche 10-12,30), sarà presentata dall’antropologo e critico d’arte Luca Ciurleo. Pubblichiamo qui di seguito i testi di Luca Ciurleo e Giuseppe Possa che accompagnano il catalogo dato alle stampe per l’occasione da Edizioni Landexplorer di Samuel Piana (Progetto grafico di Barbara Bisca - Stampato presso Mascotte, Domodossola).

“L’Arte d’essere un figlio d’arte” (di Luca Ciurleo)

Essere figli d’arte, si sa, non è sempre facile, soprattutto in ambito artistico. Se da un lato, infatti, vi è la possibilità di conoscere già i meccanismi di un mondo di per sé chiuso come quello artistico, dall’altro si corre il rischio dei confronti. Ed essere figli di Ugo Pavesi, affermato pittore ossolano, noto per i suoi paesaggi en plein air, lo è ancora di più. Soprattutto se in ambito artistico ci si vuole distanziare dall’esperienza paterna, prediligendo altri soggetti e trovando soluzioni formali di tutt’altra natura, in una ricerca che dura da oltre 15 anni e che ha portato alla creazione di un suo proprio stile pittorico facilmente riconoscibile.

Gian Luca Pavesi ha intrapreso proprio questo percorso e la mostra 15x30 (che non fa riferimento ai formati naturalmente quanto alle 30 opere rappresentative di 15 anni di evoluzione pittorica) allestita presso la Soms di Domodossola ne è la prova. Il pittore, alla soglia dei 50 anni, ha deciso di mettere in mostra il suo percorso artistico, la sua evoluzione, che lo pone in un solco completamente diverso da quello tracciato dal padre, con cui si è avvicinato alla pittura. Iniziamo da quello che li accomuna: il medium espressivo. Ambedue utilizzano prevalentemente l’olio su tela, ma la resa formale è completamente diversa, soprattutto negli ultimi dipinti in cui Gian Luca ha iniziato ad esprimersi attraverso il cosiddetto “spatolato”, una disposizione dei colori molto materica e dai contorni netti, nel solco dell’espressionismo. La sua pittura inizia in maniera naturalistica. Come scrive il critico d’arte Giuseppe Possa: «Gian Luca cerca una pausa e una rigenerazione proprio nell’incontro di laghi, alpeggi, brughiere, fiumi, prati in fiore. E un discorso a parte meritano i fiori, soprattutto quelli recisi in “nature silenti”, trasfigurati dall’emozione e dall’incanto creativo. Da essi sprigiona sempre una luce spontanea, brillante e una sensazione diffusa di movimento, proiezione della forza interiore del pittore e preziosa fonte di energie cromatiche per i riguardanti».

Naturalmente, all’inizio soprattutto, sono i paesaggi i primi soggetti ad attrarre la sua attenzione pittorica. Paesaggi marini e lacustri. Già in questa prima fase notiamo subito un uso interessante del rosso, che diventa un marchio di fabbrica, forse la nota cromatica che maggiormente riesce ad interpretare e diventa un suo segno distintivo. Il campo di grano con i papaveri rossi, che non possono che rimandare al soldato Piero di De André, ma anche il tocco rosso nei capelli della ballerina (di flamenco forse?) pronta a scendere in pista per esibirsi. Rosso. Un lampo di colore che attrae l’attenzione dello spettatore sulla tela. Un flash, un dettaglio indelebile nella memoria. Un lampo di colore per catalizzare l’attenzione su una azione banale quale sistemarsi i capelli prima di scendere in pista.

Con il passare del tempo la sua pittura si trasfigura e si trasforma. In un primo momento avevamo i fiori e gli elementi naturali, poi si passa ad altri aspetti, la figura umana entra nella poetica del pittore ed irrompe come una cascata. Ed è proprio nel rappresentare l’umanità che Gian Luca fa esplodere la sua idea di pittura. Inquadra la scena in tagli inusuali: gli occhi, affetti forse da un leggero strabismo, che osservano lo spettatore che osserva, scrutandone ed indagandone quasi l’anima; il viso in sezione aurea, decentrato volutamente nella tela, con le labbra, gli occhi tagliati, i capelli fuori scena; il cowboy di spalle mentre cavalca; l’anziano con il cappello, che ricorda il nonno di Heidi o l’archetipo del vecchio montanaro…

È questa la nuova poetica dove, personalmente, credo che Gian Luca stia dando i frutti migliori. Attraverso una ricerca stilistica che lo ha portato da un lato ad evidenziare i contorni, a creare movimento tramite linee che seguono esternamente la figura, che ne evidenziano l’essenza, che, in una sorta di neofuturismo postmoderno (non vi si scorge fiducia innata nel progresso, quanto piuttosto una solitudine degli individui, evidenziata dai colori tenui), ne amplificano il movimento. Penso ad esempio al chitarrista, uno dei suoi primi lavori in questo stile: la mano, poco delineata, scorre veloce tra le corde, la musica vibra attraverso la tela (che stia suonando il tango che i due ballerini stanno animatamente ballando? O accenna le note del flamenco su cui si esibirà la donna che si sistema i capelli prima di entrare in scena?) …

Da non dimenticare l’evoluzione anche stilistica, che gli ha permesso di ottenere effetti interessanti. Nel gioco di rimandi pittorici si può citare di tutto: alcuni nomi di grandi maestri del primo Novecento o di un certo espressionismo tedesco, nella rivisitazione di noti artisti di fine millennio. Mentre le nature morte, con i fiori ad esempio, evidenziano la perfezione della natura stessa, la sua tranquillità, i paesaggi nascondono inquietudini (con le onde che si infrangono sulle rocce ad esempio), mentre le figure umane rivelano le ansie del nostro tempo.

I tagli netti ottenuti con lo spatolato evidenziano volti colti nell’attimo del movimento, volti anonimi, sguardi definiti, di cui percepiamo l’inquietudine. Quei ballerini dal volto indefinito presi dalla trance coreutica, la donna inquieta che si sistema (nervosamente?) prima di andare in scena, il chitarrista che fa scorrere veloce le dita sullo strumento, l’anziano che ci osserva dalla tela, la donna dagli occhi di ghiacci che ci scruta dentro, la ragazza con il rossetto cupo che ci scruta inquisitoria… sono lo specchio della nostra angoscia postmoderna? E forse proprio questo soprassedere sulla fisiognomica dei volti, questo concentrarsi sui particolari fa sì che tutti noi ci chiediamo: ma siamo forse noi?

(Luca Ciurleo)

Gian Luca Pavesi: “colori che vanno dritti al cuore” (di Giuseppe Possa)

In Gian Luca Pavesi è stato sempre forte l'attrazione per i paesaggi e in generale per la bellezza della natura e, di conseguenza, gli è venuta in modo naturale la passione per l’arte, intesa come espressione di sentimenti e d’emozioni che, tramite i colori, crea e trasmette stati d’animo di grande effetto all’osservatore. È vero che alla pittura si è avvicinato osservando il padre Ugo, valente maestro ossolano, da cui ha appreso i primi insegnamenti, fondamentali per potersi avventurare nello straordinario e affascinante mondo dell’arte. Si è, però, staccato ben presto dallo stile del genitore. Tuttavia, dice: «Se ho bisogno di un consiglio, il papà è un aiuto; preferisco, però, operare da solo».

Nato a Domodossola nel 1970, Gian Luca ha frequentato scuole tecniche e lavora presso un importante stabilimento, ma il tempo libero che si ritaglia dopo gli impegni familiari (è sposato e ha due figli) lo dedica, da autodidatta, alla pittura all’aria aperta o nel suo studio a Seppiana, in Val dOssola, dove vive. «La pittura - afferma - diventa per me momento d’evasione e nello stesso tempo di riflessione. Penso ormai di aver raggiunto un mio stile, anche se non disdegno di provare cose nuove. Mi piace spaziare un po’ in ogni ambiente della natura e il mio obiettivo e sempre quello di migliorare».

Fin dalla giovane età dipinge dal vero, in particolare i paesaggi della sua terra, di cui ha raffigurato tanti scorci interessanti, cercando sempre di coglierne i momenti più suggestivi. In seguito, però, preferendo gli spazi più ampi, ha frequentato maestri del novarese, come Giroldi (scomparso di recente) o Sarasi con cui si accompagna spesso o l’amico Cigalotti. Così, oggi, si può affermare che l'essenziale della sua pittura è di giovarsi di un punto d’osservazione personale, con un suo realismo, visto con occhio sereno, con toni cromatici liberi e un tocco di pennello morbido e sciolto che coglie l’essenziale. Molte sue opere sono già appese nelle case di alcuni collezionisti: sono parte dei dipinti che ha esposto nelle mostre di Premosello nel 2007, di Vanzone (alla Torretta) nel 2010 e di Antrona nel 2012. Pavesi ha già partecipato anche a numerose collettive in Ossola e nel Novarese. Per il prossimo anno ha intenzione di presentarsi al grande pubblico con una personale a Villadossola.

Egli, negli ultimi tempi, con buona maestria scenica, coglie molti paesaggi dal richiamo lirico, dove i laghi, il mare, i fiumi, le nuvole del cielo, sono i principali protagonisti. La trasparenza dell’acqua, soprattutto, è ripresa in modo egregio, con emozionanti risvolti sensitivi, nei giochi di luce e di riflessi. Le morbide o agitate onde che s’infrangono sulla spiaggia o su rocce e scogliere, i sinuosi salti dei ruscelli, affascinano per compostezza e armonia di sintesi. Sono raffigurati con poesia meditativa, con stile intuitivo personale e ricco di contenuti visivi. L’artista li riprende da scorci pittoreschi, ridestando emozioni velate da un fascino stilistico, finalizzato al richiamo di ambienti incontaminati. Interessanti sono anche le “atmosfere pomeridiane” o le “impressioni invernali” con cui dipinge le sue brughiere, con il vento che ne muove il fogliame e le nuvole a strisce, quasi impalpabili veli che valorizzano e accentuano l’aria di mistero; i canneti che si sviluppano alle foci dei fiumi; le paludi costruite tra arbusti, come luoghi raccolti, silenziosi.

Nella frastagliata articolazione di colori vivi, Gian Luca si dedica in modo particolare a riprodurre fiori, ripresi con una pittura morbida, il cui cromatismo, impastato di luce, dà una spazialità di decantazione, orientata verso un magico lirismo, dove la tensione luce-ombra è avvolta nella stessa creatività dell’artista. Le mimose, le ortensie, le rose, le peonie o le margherite nelle loro disposizioni in vasi o anche solo abbandonate a sé stesse in sequenza d’immagini incantate che vanno dritte al cuore, suscitano nell’osservatore un senso di distensione e di serenità. I fiori, nella scioltezza lucente dei rossi, dei gialli o dei blu in felice sintesi, non sono descritti, ma con idilliaco gusto sono appena accennati in fantasiose combinazioni, in chiave contemporanea e nel fascino della loro suggestiva semplicità.

In sintesi è questo che si prova contemplando i suoi quadri: essi, infatti, ci trasmettono quel senso di pace, di quiete, negli aspetti più rasserenanti, a cui ognuno di noi aspira. Basti osservare la sapiente costruzione scenica di certi scorci marini per riscoprire un contatto sensoriale con l’azzurro e la flessuosità dell’acqua. O le solenni vedute estive di montagna tra il verde del fogliame di alberi vigorosi: certezza del valore autentico delle cose del passato. Queste opere, che rapiscono l’animo, sono un invito a perdersi nel verde, a ritrovare la dolcezza del paesaggio pastorale, che intuiamo essere prima contemplato e interiorizzato dall’autore, poi, rappresentato. 

Ed è proprio a tali sentimenti che si collega la pittura di Pavesi, tanto da coinvolgere l'osservatore nella limpida purezza delle tinte e nella freschezza degli accostamenti, facendogli così distogliere lo sguardo e l’animo dal grigio e dalle ombre della quotidianità, magari pure con qualche creazione che è al limite tra il figurativo e l’astratto. Nei suoi racconti pittorici, riassumendo, troviamo ora una baita, qualche montagna, prati o campi, ora un canneto o una palude, ora una distesa di papaveri o un campo di girasoli, qua e là uno scorcio di mare o di lago, oppure una natura morta con ciliegie e poi tanti fiori, come se l’autore volesse ritrarre in ogni sua tela qualcosa che il visitatore ha già vissuto e di cui serba il caro ricordo.

«Quando sono a contatto con la natura - aggiunge il giovane pittore ossolano - mi sento ispirato e dimentico la frenesia del mondo moderno. Dovunque vada, trovo sempre un paesaggio che mi attrae per la sua bellezza e cerco di raffigurarlo». Dipingere la natura, come fa Gian Luca Pavesi, con tagli e colori più adatti al contemporaneo rispetto alla tradizione della sua terra, significa saper cogliere l'essenza visiva e le intimità recondite che si nascondono in un qualsiasi paesaggio adagiato nei suoi numerosi colori naturali.

(Giuseppe Possa)

 

(G. Possa e L. Ciurleo

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